SANTA GIOVANNA ANTIDA THOURET
Fondatrice della Congregazione delle Suore della Carità


(1765-1826)


di Sr Antida Casolino

Il 27 novembre del 1765 Giovanna Claudia Labbe e Gianfrancesco Thouret vedono venire alla luce nella loro vasta casa di Sancey-le-long, presso le rive del torrente Baume, in Franca Contea, la bimba attesa dopo tre fratelli, Giovanna Antida.
In seguito, la famiglia ingranditasi per la nascita di altri figli, continua a vivere serena tra il lavoro dei campi e la conciatura e il commercio di pelli e tra impegni sociali e politici; il padre sarà sindaco e due fratelli si arruoleranno per servire nell'esercito del re giungendo "a gradi distinti"… Non si minimizzano le sofferenze per la difficile convivenza con una zia e per la precaria salute della mamma, la quale pur essendo stata devotamente curata e assistita dalla figlia, muore ancora giovane.
La conduzione familiare, per volere del padre, passa nelle mani di Giovanna Antida che è affiancatala da una giovane inserviente, purtroppo rivelatasi ben presto corrotta. Il turbamento di Giovanna Antida, a sedici anni, si dissolve solo con il voto di verginità pronunciato ai piedi dell'altare, nella cappella dell'Immacolata, in parrocchia.
Le giornate in casa Thouret si svolgono nella laboriosità, nella semplicità, nell'accoglienza. Il rapporto di Giovanna Antida con la madrina è di speciale confidenza. La sua salute non proprio florida non ammette negligenze, ritardi, indifferenze nei confronti della famiglia, del vicinato, della parrocchia, di tutti quelli che a lei ricorrono. Il suo tratto serio e dolce, è compenetrato di saggezza, di compassione, di gentilezza, di nobiltà d'animo.
Don Lambert, il suo parroco, non esita ad affidarle la responsabilità della scuola di catechismo e l'animazione del gruppo delle giovani, perché non gli sono sfuggiti l'impegno da lei profuso nell'apprendimento durante le sue lezioni e l'atteggiamento amorevole nei confronti dei poveri.
Ad un certo punto, Giovanna Antida, si pone il problema del suo futuro e, pur avvertendo una forte attrattiva per la vita di preghiera in ambiente claustrale, comincia a pensare se la sua vita non possa essere dedita alla cura e all'assistenza dei malati. Il padre vi si oppone con tutte le forze e le prospetta una bella opportunità matrimoniale con presentazione del benestante futuro sposo, e di tutte le convenienze sociali ed economiche conseguenti.
La preghiera a Dio, il dialogo con il padre l'aiutano nel discernimento e nella scelta. Quando ha 22 anni la sua decisione rivela propensione per chi soffre, spirito di umana solidarietà, fattiva carità. Allontanata l'idea del Carmelo, le suore di San Vincenzo de' Paoli di Parigi possono fare al suo caso, più che le Ospedaliere di Baume-les-Dames.
Nel 1787, Giovanna Antida, presso l'ospedale di San Lorenzo, a Langres muove i primi passi nella vita religiosa tra le Figlie della Carità. Dopo tre mesi di Postulato, il giorno di Ognissanti raggiunge Parigi per iniziare il tempo del "seminario"-noviziato nella casa madre. Nonostante la sua salute precaria si distingue per dedizione, carità e prudenza, sempre, anche negli altri ospedali ai quali viene assegnata.
Nel 1789 in Francia scoppia la Rivoluzione. Gli Ecclesiastici che non aderiscono ai suoi principi e le Religiose che respingono il giuramento alla Repubblica, vengono allontanate. Inizia un periodo molto difficile per le Comunità che si rifiutano di abiurare e che non vogliono aderire alle leggi rivoluzionarie. Molte persone vengono tormentate da emarginazioni sociali, vengono deportate, perseguitate con la violenza e martirizzate. Anche Giovanna Antida verrà tramortita con il calcio del fucile da un soldato. L'alternativa può essere la clandestinità nei piccoli centri rurali o nella fitta vegetazione delle foreste o nel cavo delle grotte, dove porta soccorso ai sacerdoti non giurati nascosti, rischiando la propria vita.
Incomincia la soppressione delle famiglie religiose. Anche le Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli devono sciogliersi e rifugiarsi nei paesi di origine. E' l'ottobre del 1793. Giovanna Antida, trova scampo a Besançon, ospite di una cara amica, la signora de Vannes. Qui si dedica all'assistenza dei malati e a quei sacerdoti che per la loro fedeltà al Papa e alla Chiesa sono stati incarcerati e, dopo qualche tempo prova a rientrare a Sancey. L'impegno parrocchiale, la cura di malati, di bambini, di poveri, l'attivazione di una piccola scuola, sono da lei sostenuti nonostante le intimidazioni dei Commissari, ai quali resiste, ma di fronte ai quali dovrà cedere, nel 1794, quando la Convenzione ristabilirà il servizio scolastico.
Giovanna Antida riesce a sottrarsi alle persecuzioni della polizia distrettuale e pensa di raggiungere la sorella, Giovanna Barbara, presso una comunità religiosa itinerante, detta dei Solitari, il Ritiro cristiano, fondata dal padre Antonio Receveur, che desidera avere Giovanna Antida perché possa dedicarsi al servizio dei malati. Questa comunità è perseguitata, calunniata ed esiliata proprio mentre Giovanna Antida la sceglie per aderire alla Volontà di Dio.
Purtroppo lo stile di vita e i criteri poco evangelici adottati da una Religiosa responsabile e da alcuni Religiosi non sembrano rispondere ai dettami della coscienza di Giovanna Antida che, dopo lungo e sofferto riflettere e peregrinare lascia la comunità.
Per quasi due anni vagherà, da straniera, alla ricerca della Volontà di Dio, tra la Svizzera, l'Austria e la Germania in mezzo all'indigenza, ai pericoli, alle umiliazioni, fino a quando a Landeron, a qualche chilometro dalla frontiera francese, sembra che Dio si riveli con più chiarezza: alcuni preti francesi, i Vicari di Besançon, de Chaffoy, Bacoffe, Beauchet constatata la riabilitazione -da parte della Francia- della Chiesa cattolica, le chiedono di occuparsi, nella loro Diocesi, dei bambini e degli ammalati.
"Prendete con voi altre giovani e le formerete come siete stata formata voi stessa, poi fonderete a Besançon un Istituto per l'istruzione della gioventù e per l'assistenza dei malati poveri"…"Dio parla per mezzo dei Superiori, ed io mi trovo ad essere il vostro. Pertanto vi comando di rientrare in Francia entro quindici giorni, per aiutarci a ristabilire nella nostra diocesi la fede e i buoni costumi, seguendo l'esempio dei nostri santi protettori Ferreol e Ferieux" (Cosi', Mons. De Chaffoy secondo Memorie di pure verità di S.ta Giovanna Antida).
Ritenendo di dover obbedire, perché è Dio che si manifesta, Giovanna Antida, si mette all'opera, sia pure per breve tempo, ossia fino alla caduta del governo dei moderati, al quale fanno seguito le giornate del "Secondo Terrore" piene di violenze e di soprusi. Siamo nel 1797.
Minacce e intimazioni non la scoraggiano mentre porta avanti il suo lavoro. Purtroppo non può evitare di nascondersi ancora, perché ricercata, in un retrostalla di La Granges.
Quando ottiene un certificato di Libera cittadinanza ed è richiamata e incoraggiata dai Vicari di Besançon, Giovanna Antida tenta di avviare una nuova scuola libera, gratuita e cattolica, insieme alla distribuzione di brodo ai poveri. Subito verrà identificata, assieme al alcune compagne che si sono unite a lei, come quella delle "Suore del brodo e delle piccole scuole".
L'11 aprile 1799 è la data della prima pietra della sua fondazione che diventerà, nel tempo, la Congregazione delle Suore della Carità, in via Des Martelots, a Besançon. La sua opera viene apprezzata dalle autorità civili che le chiedono di occuparsi anche di Bellevaux, una prigione di Besançon dalla triste reputazione, una "cloaca", "anticamera dell'inferno", dove abitano alienati, prostitute, ladri, bambini abbandonati. In questo luogo, la Fondatrice, esprimerà tutto il suo talento di educatrice a servizio dei prigionieri, procurando loro non solo di che nutrirsi, ma organizzando anche il lavoro, con la possibilità di riscuotere un salario, al fine di far ritrovare la dignità di uomini e di donne e di esprimere la propria fede attraverso la preghiera, la buona condotta, l'altruismo.
Il 3 ottobre 1810 il primo gruppo di giovani e Giovanna Antida stessa si preparano per il loro atto di consacrazione a Dio, nelle mani di Mons. De Chaffoy.
Tra il maggio e il settembre del 1802, ella scrive la Regola di vita a Dôle che sarà consegnata alle sue figlie nel novembre del 1804, dopo che il nuovo vescovo, Mons. Lecoz, le avrà approvate con il disappunto del Bacoffe, offeso per il non riconoscimento di un ruolo di primo piano nella fondazione.
La famiglia delle giovani si allarga e anche le fondazioni aumentano.
La fama di Giovanna Antida impressiona bene Letizia Bonaparte che darà il nome di Suore della carità di Besançon alla sua famiglia religiosa, durante la riunione delle Superiore Generali delle Suore Ospedaliere, a Parigi nel 1807. Nel 1810, dopo l'approvazione giuridica degli statuti delle Suore della carità, firmata dall'Imperatore, l'Imperatrice propone l'insediamento di una fondazione nel regno di Napoli, richiesta veramente sorprendente per quel tempo.
A Napoli Giovanna Antida trova una città dal volto contraddittorio, non solo perché è il centro più popolato di un vasto Regno, ma anche perché la sua vita poggia su una struttura burocratica costituita da diversi strati sociali, il più basso dei quali composto da una massa enorme di poveri, disoccupati, mendicanti, quei poveri che una lunga serie di dominazioni straniere e di sfruttamento economico hanno prodotto.
Qui si trova a confronto con una organizzazione sociale molto gerarchica: nella città i ricchi occupano gli appartamenti in alto nelle case e i poveri si ammassano nelle zone basse, tanto che queste due classi sociali si incontrano a fatica. La disparità sociale si nota in ogni più piccola azione. Per esempio, i poveri non possono entrare nei conventi, essi suonano, le Suore li ricevono alla porta e consegnano alimenti e vestiti. Le "Monache", che affollano i Monasteri, non escono mai per le strade.
Giovanna Antida comincia subito a conoscere questa cultura così diversa dalla propria, e trova, a modo suo, il sistema per trasformarla. Apre una scuola e, senza unire subito bambini poveri e ricchi, mette le classi di fianco l' una all'altra. I bambini sono dunque invitati a parlarsi, a guardarsi, a conoscersi, a stare insieme.
Apre pure una farmacia nel cuore del monastero di Regina Coeli dove ha preso dimora e i poveri sono invitati ad attraversare la casa per andare a prendere i medicinali…sono a casa loro ! Le Suore non esitano ad uscire dalla loro casa per andare a visitare i poveri nelle loro abitazioni. Sono le Suore a fare il primo passo senza costringere i poveri a elemosinare il loro amore ed il loro aiuto.
Fin dall'inizio, con l'arrivo di numerose giovani, Giovanna Antida aveva scritto in Francia una Regola di Vita che aveva mediato dall'esperienza vissuta tra le Figlie della carità, dal Vangelo della Carità, dallo studio dei gesti e dei movimenti da porre in atto in ambienti e tra persone diverse, ispirandosi al suo modello e protettore, San Vincenzo de' Paoli.
Ora, le sembra giunto il momento di sottoporla al Papa per ricevere la sua approvazione, per sentirsi a servizio della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, romana, per mettersi a disposizione anche per un' eventuale chiamata a servire i poveri direttamente a Roma. Il riconoscimento pontificio seguito molto da vicino da lei stessa che dimora a Roma per quasi due anni, avverrà nel 1819 ad opera del Papa Pio VII, il quale darà all'Istituto il nome di "Figlie della Carità sotto la protezione di San Vincenzo de' Paoli".
Piena di gioia per un tale dono Giovanna Antida comunica la notizia alle sue Figlie francesi.
Nel giugno del 1821 riesce a tornare in Francia, ma ella viene interdetta di avvicinarsi. A Besançon la situazione è molto cambiata, alcuni sacerdoti e il Vescovo non accettano l'approvazione dell'Istituto e delle Regole da parte del Papa ed impediscono alle suore di riconoscere la stessa Giovanna Antida come Madre Generale.
La sofferenza è grande. Giovanna Antida non ottiene nulla dopo vari tentativi di dialogo, di invio di lettere, di preparazione del memoriale giustificativo, della messa a punto di appuntamenti, di incontri anche con il nuovo Vescovo di Besançon, Mons. De Pressigny.
Nell'estate del 1823, lasciata Parigi, dopo aver raggiunto Besançon e dopo essere stata rifiutata, confidando in "Dio solo", (motto che in precedenza aveva scelto per le Suore) e in Gesù crocifisso, suo Sposo e suo modello, prende la via del ritorno a Napoli.
Le rimarranno solo tre anni di vita, spesi nel lavoro apostolico, nella formazione, nell'apertura di nuove opere, senza mai lasciarsi sfuggire sentimenti di ribellione per l'ingiustizia che subisce, anzi, rallegrandosi per la fedeltà delle suore della Savoia e di Vercelli, perdonando i suoi nemici e pregando per tutte le sue Figlie, quelle vicine, quelle lontane, quelle future.
La Madre Giovanna Antida non ha mai accettato come situazione normale e definitiva questa separazione "imposta". Vi si era rassegnata come a un male che doveva subire, aspettando "l'ora dell'onnipotenza di Dio", sicura che "quell' ora, presto o tardi, sarebbe arrivata" (a Sr. Genoveffa Boucon, 7 marzo 1822).
Il 18 Agosto 1826 è colpita da emorragia cerebrale. La sera del 24 agosto lascia questa terra per il cielo.
Il 16 luglio del 1900 viene introdotta la Causa di Beatificazione. Il riconoscimento dell'eroicità delle sue virtù ci sarà il 9 luglio 1922 e la proclamazione a Beata avverrà il 23 maggio 1926. Il 14 gennaio 1934 la Chiesa, il papa Pio XI, riconosce la sua grandezza umana e spirituale e la proclama Santa.
La storia del processo dell'unione del ramo francese con quello italiano della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, sarà lunga, laboriosa e delicata. La Madre avrà gioito in cielo della ritrovata unità delle sue figlie, avvenuta, dopo centotrent'anni, nell'estate del 1957, quando si sono incontrate a Sancey, provenienti da ogni luogo del mondo dove erano sparse.
Esse godono dell'attributo-eredità della loro unica Madre:"Madre in Cristo" (LD: 90), "Sono la vostra prima Madre"(LD: 224), "Vi sono Madre per la vita" (LD: 307),"Sono e sarò sempre la vostra tenera Madre" (LD: 413) e del distintivo proprio del loro servizio dei poveri a motivo della "Carità cristiana che abbraccia tutti i tempi, tutti i luoghi e tutte le persone senza distinzione di età, di sesso, né di condizione…" (Reg. 1820, 2a parte).

Vergine della Congregazione delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret

 

Una fede forte ed una carità ardente vissute nel generoso servizio ai sofferenti

di PIETRO GARLATO

Vescovo di Tivoli

 Con il cuore colmo di gioia e di gratitudine al Signore, sorgente unica di ogni santità, Padre amoroso che fa risplendere nei suoi figli prediletti un raggio della sua carità che ama e che dona, perché l'umano pellegrinare conosca sorrisi di Cielo, accogliamo con esultanza da Giovanni Paolo II la decisione di iscrivere nell'albo dei santi - il 18 aprile, III domenica dopo Pasqua - la Beata Agostina Pietrantoni (Livia) che questa diocesi tiburtina si onora di avere per figlia.

Suor Agostina, nata a Pozzaglia Sabina, da umile famiglia di contadini, era entrata ancora molto giovane nella Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, spinta dal desiderio di servire Cristo nei fratelli sofferenti e ammalati. È quanto fece con abnegazione ed entusiasmo evangelico nell'ospedale romano di Santo Spirito.



È nella corsia di quell'ospedale che il 13 novembre 1894 il folle gesto di un violento ne stroncò nel sangue la vita generosa che così consumò la sua perfetta oblazione sull'altare della carità.

Con la Chiesa tutta esultiamo unendoci al coro dei santi e degli Angeli che rendono gloria a Dio che ha fatto risplendere in lei la luce della sua grazia. Il 18 aprile 1999, giorno della canonizzazione della Beata Agostina, è per noi un evento di grande gioia e di festa, che

vogliamo preparare nel cuore e nella vita con la preghiera alla nuova santa, perché ci ottenga la forza della sua fede, l'ardore della sua carità, la freschezza della sua speranza per saperla imitare nella virtù.

La Beata Agostina nella sua breve vita, poco più di trent'anni, ha trascorso la maggior parte della sua esistenza nella diocesi di Tivoli, consumando a Roma solo gli ultimi otto anni del suo generoso servizio agli ammalati. È un dato significativo e importante che deve farci riflettere. Dice a ciascuno di noi che la santità cresce, si sviluppa e si consolida nell'adempimento quotidiano del proprio dovere, fedeli ai principi cristiani, come figli di famiglia, figli della Chiesa, a servizio dei fratelli nella società.

 

«La carità evangelica è caratterizzata dalla concretezza», sottolinea l'ultimo documento pastorale della CEI per gli anni '90. «L'amore, se è tale, si fa gesto e storia - come nella vita di Gesù e sulla croce -, raggiungendo l'uomo sia nella singolarità della sua persona, che nell'interezza delle sue relazioni con gli altri uomini e con il mondo...» (ETC 23).

È quanto abbiamo avuto il piacere di ascoltare anche in questi giorni di preparazione al grande evento, nella tavola rotonda del 20 marzo scorso, dai chiari relatori invitati per l'occasione. Il suo primo biografo scriveva nel 1895: Livia, la futura suor Agostina, «tutta data alle cose di Dio, apprendeva e recitava con molta devozione le preghiere... sentiva una speciale attrattiva per la Chiesa e le sacre funzioni... Cresciuta negli anni e applicata al maneggio delle faccende domestiche e ad altri lavori, fece... risplendere le non ordinarie virtù... e specialmente quella bontà e tenerezza di cuore, che doveva farne col tempo un'eroina della carità».

Già dalla fanciullezza mostrava un forte desiderio di Dio. Trascorse una fanciullezza e giovinezza apparentemente ordinarie, ma che già mettevano in luce il rispetto che Livia Pietrantoni aveva verso tutti. Questo grande desiderio troverà il suo coronamento nella consacrazione al «Dio solo», di santa Giovanna Antida, fondatrice della Congregazione delle Suore di Carità, che vanta la sua benefica presenza, fin dalle origini, nella nostra città di Tivoli con l'Istituto di San Getulio.

Alle soglie del Terzo Millennio, in prossimità del Grande Giubileo del 2000, dobbiamo sentirci maggiormente spinti a intensificare il nostro impegno cristiano per essere degni figli di una diocesi che ha dato alla Chiesa e all'umanità intera una grande schiera di martiri e di santi, una delle glorie più pure e più fulgide tra le tante altre che pur nobilitano questa terra tiburtina.

I santi non sono mai mancati in questa diocesi e non mancheranno certo nel futuro». Essi sono vivi tuttora perché inseriti e partecipi del mistero di Cristo risorto, il Vivente nei secoli. Essi, come Gesù, non sono stati inghiottiti dalla storia, ma ogni cristiano può con amore invocarli e sentirsi con loro in rapporto di contemporaneità.

I santi, immagine viva della presenza di Dio, testimoniano il suo amore fedele per l'uomo, un amore che non viene mai meno. Questa tenerezza dell'amore di Dio per ogni creatura, la certezza che forse manca di più alla nostra epoca, desideriamo risvegliare e animare in un mondo che vive il dramma più lacerante della solitudine. Prima che appello ad amare, vogliamo essere annunzio del grande amore di Dio che non se ne sta in un'aureola dorata, ma come Padre premuroso scende nella polvere, si china a lenire le ferite e asciugare le lacrime, facendosi compagno di strada di un'umanità che vaga solitaria.

L'impegno singolo e comunitario, in preparazione al grande dono della canonizzazione della Beata Agostina, illumini il cammino della nostra comunità diocesana, chiamata a seguire la via della santità.

Affidiamo alla futura santa, figlia della nostra terra, il compito di accompagnarci sulla strada di questo impegno, per ripetere a chi incontriamo nel nostro cammino le parole dell'amore e testimoniare nel vissuto quotidiano la concretezza della carità che si fa gesto e storia.

 

Paolo VI: «Duplice corona di vergine e martire»

 di RAFFAELLA PERUGINI

Il 13 agosto 1887 quaranta giovani novizie delle Suore della Carità, con rito solenne, ricevono l'abito religioso dal Cardinale Lucido Maria Parocchi, Vicario di Leone XIII. Preghiera, riflessione, dolce incanto interiore creavano l'atmosfera degli eventi importanti. La Maestra delle novizie, dopo il rito, riunisce le quaranta neo suore per l'addio al Noviziato: «Siete quaranta - dice loro - come i quaranta martiri di Sebaste. Siate fedeli come lo furono quei bravi soldati di Cristo. C'è qualcuna tra voi che è pronta ad imitarli nel martirio?». Un attimo di silenzio poi ecco una voce esile ma sicura: «Io!».

Era suor Agostina Pietrantoni, la più umile e semplice del gruppo. Emozione del momento? No, è un lampo di luce che illumina e fissa un programma di vita; è anche un'eco viva e audace dell'intuizione di qualche anno prima quando, ancora adolescente, in un incontro di preghiera aveva confidato alle sue amiche della nativa Pozzaglia: «Vorrei morire martire per testimoniare il mio amore al Signore Gesù».

Non a caso, perciò, dallo stesso Cardinale Parocchi, nel novembre 1894, dinanzi alla salma della giovane suora uccisa nel suo servizio di carità si udranno parole come queste: «La vita di suor Agostina è stata una continua vigilia di preparazione tale che ci dà ragione del perché ella fu degnata del martirio».

Le consorelle che la ebbero in familiarità poterono affermare che quella «vigilia» era fatta di obbedienza, semplicità, umiltà, candore, intimità con Dio e accettazione gioiosa di ogni tipo di sacrificio. Il campo ravvicinato del «gran finale» fu l'ospedale «Santo Spirito» di Roma. In questo luogo nato dal grande cuore di Papa Innocenzo III, da qualche decennio serpeggiava l'odio contro la Chiesa, le persone e le cose sacre. Vi si respirava un'aria ostile, una violenza latente, la negazione di Dio e la proibizione assoluta di nominarlo presso i malati.

Questo fu l'habitat quotidiano di suor Agostina per otto anni, questo le faceva affrettare il passo nel suo servizio al povero e al malato, in cui ella vedeva il volto stesso di Cristo sofferente; questo è l'impegno di ogni giorno: vivere in una corsia di tubercolotici, senza cautele per se stessa, senza le terapie che furono scoperte un decennio più tardi.

Che importa a suor Agostina quando si scopre minata dal contagio della stessa malattia? Non penserà ad un po' di riposo finché le ginocchia non le si piegheranno senza la forza di rialzarsi.

Quando la Superiora della comunità vuole sostituirla con un'altra infermiera, ella che ha sempre e in tutto obbedito, si rifiuta. La sua voce di rifiuto, certamente, non è quella di una donna comune, ma è la stessa voce della Carità: «Madre mia, se lei manderà un'altra consorella tra quei malati, sarà contagiata anch'essa, tanto vale che ci rimanga io che sono già malata».

La Carità risponde alla Carità: «Bene, figliola mia, ritorni al suo servizio». Tutto riprende come prima, con pazienza, sorriso, garbo con gli sgarbati, accortezza cristiana con i moribondi, sfide coraggiose, pur nel rispetto, agli atteggiamenti atei.

Ma il pericolo era nell'aria e si addensava nella persona di un ammalato, minaccioso, insinuante negli atti, nelle parole e sempre pieno di odio con tutti, in particolare per chi vedeva all'altra sponda della sua personalità: la suora. «Suor Agostina, lasci la corsia - le dicevano le consorelle e altre benevole persone - chi glielo fa fare a prodigarsi senza tregua, senza precauzioni, né distinzioni di tipi?». «E la carità, dove la mettiamo?» - rispondeva sorridendo.

Perfino il Direttore dell'ospedale, professore Achille Ballori, esponente massonico del positivismo, le raccomandava: «Attenta, suor Agostina, si guardi dal Giuseppe Romanelli: potrebbe farle del male».

«Ma Signor Direttore - rispondeva - non posso vivere nella paura perché la paura fa perdere tempo ed io... ne ho tanto poco». Così ella si giustificava con chi non le era lecito parlare di carità. Invece la protagonista di tutto il suo stile di vita era proprio la Carità nel senso giovanneo: «Deus caritas est».

Come poteva avere paura e limitare la dedizione ai sofferenti, lei che si era consacrata al Dio-Carità? Aveva fatto la Professione religiosa da pochi mesi e dinanzi all'altare del Dio-Amore aveva proclamato: «Io, alla presenza di Dio e di tutta la Chiesa... faccio voto di castità, povertà, obbedienza e di impegnarmi nel servizio spirituale e temporale dei poveri, per sempre».

«Come posso dimenticare questo voto? - diceva suor Agostina - sono consacrata alla Carità e, poiché la Carità è Dio stesso sono pronta a morire per testimoniare la mia fedeltà». E la morte venne il 13 novembre 1894. Il mattino di quel giorno, dopo la Santa Messa, la giovane Religiosa, nel suo bell'abito bianco di suora infermiera è diretta verso la corsia dei suoi malati. Indugia un attimo in cucina: prende un cordiale per un povero che ne aveva bisogno e col bicchiere in mano entra nel corridoio che la divide dal luogo del suo servizio. All'improvviso le si staglia dinanzi la figura minacciosa del Romanelli con un coltello in mano, pronto a colpire. La suora si ferma; potrebbe tornare indietro, chiedere aiuto e salvarsi ma sembra che una forza invincibile la spinga ad avanzare.

Una donna consacrata alla Carità non deve fuggire, non può fermarsi, deve riprendere il suo cammino perché i malati l'aspettano. Ma la furia omicida la colpisce sette volte finché non la vede immersa nel sangue.

Al richiamo terrorizzato di un uomo che da poco lontano ha assistito alla scena, accorre tanta gente: si sentono grida contro l'assassino, si invoca il nome di suor Agostina.

La Superiora le si inginocchia vicino, sente che la moribonda invoca Maria e le chiede con ansia: «Suor Agostina, perdona il suo uccisore?». Un sorriso luminoso fu la risposta e la sua ultima testimonianza alla carità evangelica. Quel sorriso non significava soltanto «perdono» ma era anche il suo «grazie» al Signore perché l'aveva resa degna di dare la vita per gli altri.

La città di Roma ebbe come un improvviso risveglio dalla sonnolenza religiosa iniettata dai nemici di Dio. Capì immediatamente il significato dell'accaduto e intorno alla salma della Religiosa e durante il passaggio del lunghissimo corteo per le vie della città non esitò ad invocarla a voce alta «Martire della Carità».

Per la Chiesa di Roma fu un evento di grazia. Il popolo, senza paura, dimostrò di saper pregare ancora e di ricordare il Vangelo. Il martirio per la propria fede ha un linguaggio e un messaggio molto eloquente anche per chi non conosce le profondità teologiche.

Durante il corteo funebre, ad una bambina di dodici anni che chiedeva il significato della parola «martire» la mamma rispose: «Il martire è colui che scrive le cose di Dio con il suo sangue» (testimonianza della signora A. Mattogno).

Dopo una settimana dalla morte di suor Agostina, Leone XIII invitò alla Santa Messa privata la Superiora del «Santo Spirito», suor Irene Buzio e la sua Assistente, suor Leontina Vandel.

«Egli - racconta suor Irene - ci diede l'Eucaristia poi ci ammise all'udienza. Riguardo alla nostra suor Agostina ci disse che non dovevamo rimpiangerla ma piuttosto ringraziare il Signore di averci dato una Sorella martire il che è di sommo onore e di grande vantaggio per la nostra Congregazione».

Ma la conferma più splendida, esplicita e dolcissima ci viene dall'omelia durante il Rito della Beatificazione, il 12 novembre 1972, dalla voce viva e commossa del grande Pontefice Paolo VI.

Egli, dopo avere chiamata l'umile Agostina «vittima inerme del proprio quotidiano servizio», aggiungeva: «Conoscete la barbara storia che intreccia sul suo capo la duplice corona di vergine e martire. Ritornano alla mente le celebri parole di s. Ambrogio in onore di s. Agnese: "Oggi è il giorno natalizio di una vergine: seguiamone la purezza. Oggi è il giorno natalizio di una martire: offriamo il nostro canto al Signore"».

Per le Suore della Carità il sacrificio di Agostina Livia Pietrantoni è un modo audace di vivere l'insegnamento della loro Fondatrice, santa Giovanna Antida Thouret: «Sono figlia della Chiesa, siatelo anche voi con me».

  

Morì perdonando l'uccisore

M. CHIARA ROGATTI

La breve storia di suor Agostina Livia Pietrantoni, si colloca in ambienti molto diversi: ventidue anni a Pozzaglia, tra i monti della Sabina (1864-1886), nella serenità di una famiglia che dalla fede trae le ragioni per affrontare le non poche difficoltà, e nella fatica di un duro lavoro che tempra la sua volontà e la sua capacità di farsi dono nel quotidiano non sempre facile. Poi otto anni a Roma (1886-1894) di cui sette all'Ospedale «Santo Spirito».

Quando il 4 agosto 1887, dopo diciassette mesi di preparazione trascorsi nella Casa Madre delle Suore della Carità, ai piedi dell'Aventino, suor Agostina entra al Santo Spirito, non conosce la ricca storia dell'ospedale voluto dal papa Innocenzo III nel 1200. Non sa che la ricostruzione, avvenuta tra il 1471 e il 1476 per volontà di un altro Papa, Sisto IV, esprime nella bellezza e nell'armonia, lo stesso principio che ha guidato la costruzione della cappella che da lui prese il nome di «Sistina»: «onorare Cristo nella persona del suo vicario, onorare Cristo nella persona dei malati nei quali Egli stesso si è identificato - ero malato e mi avete visitato...». Forse sa appena che tanti santi, nel corso di otto secoli, ne hanno fatto il luogo dell'esercizio della loro carità. Lei viene per questo, ma non immagina che vi troverà l'occasione di consumare, giorno dopo giorno, il suo martirio in un servizio fedele, coraggioso e sereno; non immagina la fatica che un ambiente carico di tensioni e di ostilità le richiederà.

Se molti hanno donato al Santo Spirito tesori di arte e di scienza, di bontà e di dedizione, suor Agostina, dopo aver servito, gli donerà la vita. Il travaglio sociale e politico creato dalla «questione romana» ebbe anche qui la sua ripercussione dolorosa: l'opposizione settaria, motivata e mascherata da interessi politici, aveva preso di mira principi ed istituzioni religiose. Al Santo Spirito la parola d'ordine era «laicizzare». Nel 1889, due anni dopo l'entrata di suor Agostina, vennero allontanati i religiosi Concezionisti che vi svolgevano il servizio infermieristico. Ci fu l'ordine di eliminare il Crocefisso e tutte le immagini religiose. Sotto la cupola del Palladio, posta al centro della corsia Sistina, venne murata una lapide con la scritta: «libertà di coscienza».

Solo per timore dell'impopolarità si soprassedette all'imposizione di allontanare le religiose, ma si proibì loro di far pregare gli ammalati e di parlare loro di Dio. Si cercavano tutti i modi per costringere le suore ad andarsene spontaneamente.

Suor Agostina destinata dapprima al reparto dei bambini, passò in seguito alla sezione delle malattie infettive, poi in quello dei tubercolosi. Si trattava di sei sale con duecento posti letto destinati unicamente agli uomini. Il reparto era notoriamente turbolento. Il tipo di malattia, la segregazione, l'isolamento, accentuavano fino all'esasperazione l'irrequietezza, il malumore, la scontrosità di questi malati. La volgarità del linguaggio e degli atteggiamenti erano la nota caratteristica del reparto.

Testimoni dell'epoca affermano che «il contegno di questi uomini viziosi e volgari rendeva penosa fino alla nausea, la missione della Suora della Carità accanto a loro...» ma suor Agostina scrive: «Sono qui per grazia speciale di Dio... Questi uomini non sono cattivi, sono soltanto ammalati.. Quanto mi conforta il pensiero che in essi servo Gesù Cristo».

«Mi sento infiammata di carità per tutti, pronta a sostenere qualunque sacrificio, anche a spargere il sangue per la carità...». Qualche sorella, traumatizzata dalla dura esperienza, teme che possano anche arrivare ad uccidere.. E suor Agostina afferma: «Non c'è sorte migliore che versare il proprio sangue nell'esercizio della carità. Dobbiamo aspettarci di tutto. Del resto Gesù Cristo fu trattato così». «Resto tranquilla al mio posto, benché sia certa che quando essi troveranno il momento opportuno, mi uccideranno... Invidio la sorte dei martiri: sarei contenta di morire come loro...».

Si tratta di amare perché Cristo ci ha amati, si tratta di amare come Lui ci ha amati... per questo: «Non dobbiamo trascurare il nostro dovere di carità per sfuggire il pericolo, dovesse pure costarci la vita... io non temo nulla: il Signore ci pensa per me...».

Quando la minaccia da parte di colui che l'avrebbe uccisa si fa palese, Agostina continua a servire «più che come infermiera, con la tenerezza di una madre» (dai processi di beatificazione). Essa stessa malata di tubercolosi contratta nel servizio, spontaneamente rimane nel reparto per evitare che un'altra sorella si ammali, sperando, con questo tipo di malattia, di «poter servire fino alla fine...».

«Beate noi se potremo versare il nostro sangue per Cristo Signore!». Qui si trova il segreto della sua pace inalterabile che non manifestava reazioni di risentimento, di sfiducia, di tristezza: soffriva e taceva, era offesa e perdonava. Quotidianamente, per sette anni. Poi un giorno, incominciato come tanti altri, il 13 novembre 1894, getta tutti nello sgomento: Agostina è colpita a morte da sette pugnalate: muore perdonando. L'uccisore è uno dei suoi malati. Tutta Roma ne è sconvolta. La voce del popolo, i giornali di ogni tendenza, la definiscono «martire della carità».

 

Le tappe del processo che hanno portato alla canonizzazione

 

Il 12 novembre 1972 Paolo VI, procedette al rito della beatificazione della serva di Dio Agostina Pietrantoni.

Dopo aver tanto goduto di questa solenne proclamazione le Suore della Carità, parte attrice della presente Causa, desiderose di far conoscere al mondo intero il meraviglioso messaggio d'amore dato dalla Beata Agostina, decisero di avanzare verso l'esaltante traguardo della canonizzazione. Il miracolo riguardava la guarigione del giovane Patrick Ciaparra da neoplasia maligna del tronco cerebrale con emiplegia destra, emiparesi sinistra, paralisi dei nervi cranici, coma profondo e di lunga durata, neurofibromatosi di Recklingausen di 1° tipo.

Da questo impressionante quadro morboso Patrick guarì il 18 aprile 1986, godendo poi sempre di buona salute. Rapido e molto fausto si è rivelato l'iter canonico seguito a Roma: all'unanimità la consulta medica riconobbe l'inspiegabilità scientifica del caso il 17 aprile 1997, stesso esito ebbero il congresso peculiare il 7 successivo ottobre e la sessione ordinaria dei Cardinali il 20 gennaio 1998. Dopo che il decreto su questo miracolo è stato letto il 6 aprile dello stesso anno, Giovanni Paolo II, nel concistoro del 9 gennaio '99, annunciò che avrebbe elevato agli onori degli altari, decorandola del titolo di santa, l'umile suora della Carità Agostina Pietrantoni.

ANDREA AMBROSI

 

La Congregazione fondata dalla santa francese Giovanna Antida Thouret

Giovanna Antida Thouret (nata il 27 novembre 1765 a Sancey-le-Long, in Francia, e morta a Napoli il 24 agosto 1826) fonda le Suore della Carità aprendo una Piccola scuola per le fanciulle povere di Besançon l'11 aprile 1799, oggi presente in 24 Paesi del mondo.

Fino al 1810 la nuova Congregazione conosce un rapido sviluppo in Francia, in Savoia, in Svizzera. Anche in Italia, pur nelle difficoltà, l'opera mette radici e si espande. Nel 1844, Gregorio XVI domanda le Suore della Carità per l'ospedale Santo Spirito in Roma. Nel 1868, le religiose raggiungono Malta.

Con l'inizio del Novecento le suore arrivano in Inghilterra, in Libano, in Egitto e in Siria.

Nel 1932 viene aperta a Milwaukee la prima casa negli Stati Uniti d'America. Due anni più tardi la Congregazione invia quattro suore nel Laos. Nel 1940 si apre la prima comunità in Algeria, nel 1960 nella Repubblica Centro Africana e nel 1962 nel Tchad. L'impulso dato dal Concilio Vaticano II spinge le Suore della Carità a raggiungere nel 1965 la Libia, nel 1967 il Paraguay, nel 1968 l'Argentina, nel 1980 l'Indonesia, nell'82 il Pakistan, nell'84 il Sudan, nel '90 il Camerun. Il crollo del muro di Berlino e la fine del comunismo aprono la Congregazione verso due Paesi dell'Est: la Romania nel '91 e l'Albania nel '92. Le ultime fondazioni avvengono in Bolivia nel '95 e in Brasile nel '96. Nel Bicentenario di fondazione è imminente l'apertura di una comunità in una delle regioni più povere dell'India

IL SANTO ROSARIO E I SANTI

P. Stefano M. Manelli

IL DONO DI MARIA

«Qualunque cosa...»

Nella vita di S. Pio X si racconta che un giorno, durante un'udienza, si presentò a lui un ragazzo con la corona del Rosario al collo. San Pio X guardò il ragazzo, lo fissò per qualche istante, e gli disse: «Ragazzo, mi raccomando, qualunque cosa... con il Rosario!».

Queste parole così semplici di S. Pio X ci fanno subito comprendere il valore del S. Rosario nella sua portata più vasta: «qualunque cosa... con il Rosario». Grazie e consolazioni, conversione e santificazione, sostegno e spinta, conforto e letizia..., insomma, «qualunque cosa» bella e santa ci può venire dal Rosario; «qualunque cosa» buona va fatta «con il Rosario».

Con la sua solita grazia, anche S. Teresina ci assicura che «col Rosario si può ottenere tutto», e aggiunge la più bella spiegazione: «Secondo una graziosa immagine, esso è una lunga catena che lega il cielo alla terra; una delle estremità è nelle nostre mani e l'altra in quelle della S. Vergine... Il Rosario sale come incenso ai piedi dell'Onnipotente. Maria lo rinvia subito come una benefica rugiada, che viene a rigenerare i cuori».

Da S. Domenico ai nostri giorni, infatti, tutta la storia della santità ci dimostra che la corona benedetta del S. Rosario è un eccellente strumento di grazia, un mezzo efficacissimo di elevazione spirituale, un alimento prezioso della vita interiore, è la «scala di Giacobbe», diceva il Beato Annibale Di Francia, «per la quale salgono le nostre preghiere, e discendono le grazie». E tutti possiamo salire questa «scala» di grazie.

Il Rosario è stato un dono di Maria. È stato il suo Vangelo, la sua Eucaristia, il suo Breviario, messo fra le mani di tutti, grandi e piccoli, dotti e non dotti. S. Carlo Borromeo chiamava il Rosario: «devozione divinissima» inculcata a tutti; San Vincenzo de' Paoli lo chiamava il «Breviario dei laici», il Card. Schuster il «Salterio del popolo».

Nel Rosario la Madonna ci ha donato tutta se stessa. La sua vita, le sue opere, i suoi privilegi, tutta la sua grazia e i suoi meriti sono contenuti in quei quindici quadri evangelici offerti alla nostra contemplazione e svolti armoniosamente sul ritmo soave delle Ave Maria.

I Pontefici e i Santuari

Molti sono stati i Pontefici che hanno amato il S. Rosario come dono di Maria, lo hanno esaltato e raccomandato a tutta la Chiesa, arricchendolo di preziose indulgenze. Uno di essi, il grande Papa Leone XIII, meritò di essere chiamato il «Pontefice del Rosario». S. Pio X definì il S. Rosario «orazione per eccellenza». Il Servo di Dio Pio XII scolpì in espressioni stupende il valore e la bellezza del S. Rosario, chiamandolo «sintesi di sacrificio vespertino, corona di rose, inno di lode, preghiera della famiglia, compendio di vita cristiana, pegno sicuro del favore celeste, presidio per l'attesa salvezza».

Le Encicliche, le Bolle, i Decreti e i Documenti pontifici, in genere, che hanno trattato del Rosario sono stati già alcune centinaia. Davvero il S. Rosario, dice il Papa Paolo VI, «è ormai una devozione della Chiesa». E lo stesso Sommo Pontefice, in occasione del quarto centenario della Enciclica di S. Pio V sul Rosario (Consueverunt romani Pontifices), celebrando quel centenario con la sua Esortazione Apostolica del 7 ottobre 1969, raccomandò con parole vibranti al popolo cristiano di riprendere in mano la corona benedetta - tanto spesso, purtroppo, messa oggi da parte - per supplicare la Madre di tutte le grazie a soccorrere la Chiesa e l'umanità nelle loro ansie turbolente.

Il Papa Giovanni Paolo II, da parte sua, sta dando un magnifico esempio di devozione al Rosario. Egli stesso, infatti, ha definito il Rosario la sua «preghiera preferita».

Il popolo di Dio, lungo i secoli, non è stato insensibile a questo «dono di Maria». E noi oggi possiamo ammirare nel mondo, ai primi posti fra i Santuari più celebri, le tre splendide Basiliche del SS. Rosario di Lourdes, Fatima e Pompei, a cui accorrono folle pressoché senza numero, oranti con la corona benedetta fra le mani.

E che dire del Sacro Monte di Varese, di questa montagna interamente dedicata al Rosario con le Cappelle dei misteri che, lungo la via, portano al Santuario? La fede e l'amore al Rosario hanno creato meraviglie come queste che rapiscono e commuovono.

Preghiera evangelica

Il S. Rosario è «il compendio di tutto il Vangelo», diceva il Papa Pio XII; è il più bel riassunto della storia della salvezza.

Chi conosce il Rosario conosce il Vangelo, conosce la vita di Gesù e di Maria, conosce il proprio cammino e destino eterno.

Il Papa Paolo VI nel documento «Per il culto della Beata Vergine», ha rilevato espressamente «l'indole evangelica del Rosario», che mette l'anima a diretto contatto con la fonte genuina della fede e della salvezza. Ha rilevato anche «l'orientamento nettamente cristologico» del Rosario, che fa rivivere i misteri dell'Incarnazione e della Redenzione operate da Gesù con Maria, a salvezza dell'uomo.

Giustamente, il Papa Paolo VI rinnova anch'egli la raccomandazione di non far mancare mai, nella recita del Rosario, la contemplazione dei misteri: «senza di essa il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule...».

Al contrario, il Rosario riempie di vitalità le anime che sanno fare proprio, nella recita, «il gaudio dei tempi messianici, il dolore salvifico di Cristo, la gloria del risorto che inonda la Chiesa» (Marialis cultus, 44-49).

Se la vita dell'uomo è un intreccio continuo di speranze, di dolori e di gioie, nel Rosario essa trova la sua più perfetta collocazione di grazia: la Madonna aiuta ad assimilare la nostra vita a quella di Gesù, così come fece Lei che condivise ogni offerta, ogni sofferenza, ogni gloria del Figlio.

Se l'uomo ha tanto bisogno di misericordia, il Rosario gliela ottiene con la supplica sempre ripetuta ad ogni Ave Maria: «Santa Maria... prega per noi peccatori...»; gliela ottiene anche con il dono della santa indulgenza, che una volta al giorno può essere plenaria, se si recita il Rosario davanti al SS. Sacramento o in comune (in famiglia, a scuola, in gruppo...), purché si sia confessati e comunicati.

Il Rosario è un tesoro di misericordia messo dalla Chiesa fra le mani di ogni fedele. Non sia sciupato!

L'amore dei Santi

Coloro che più di tutti hanno capito, amato e venerato il Rosario come «dono di Maria» sono stati i Santi. Nel corso di questi otto secoli, essi hanno amato il Rosario con amore di vera predilezione, collocandolo al posto d'onore accanto al Tabernacolo e al Crocifisso, accanto al Messale e al Breviario.

Troviamo il S. Rosario sul tavolo di lavoro di Dottori della Chiesa come S. Lorenzo da Brindisi, S. Pietro Canisio, S. Roberto Bellarmino, S. Teresa di Gesù, S. Francesco di Sales, S. Alfonso M. de' Liguori. Lo troviamo fra le mani di apostoli ardenti come S. Carlo Borromeo, S. Filippo Neri, S. Francesco Saverio, S. Luigi Grignion de Montfort, e tanti altri; lo troviamo al collo di Fondatori come S. Ignazio di Loyola e S. Camillo de Lellis; di Sacerdoti come il S. Curato d'Ars e S. Giuseppe Cafasso; di Suore come S. Margherita, S. Bernardetta, S. Maria Bertilla; di giovani come S. Stanislao Kostka, San Giovanni Berchmans e S. Gabriele dell'Addolorata.

Da S. Domenico a S. Maria Goretti, da S. Caterina a S. Massimiliano M. Kolbe, ai Servi di Dio Giacomino Gaglione, P. Pio da Pietrelcina, Don Dolindo Ruotolo, è stata una gloriosa teoria di eletti che hanno fatto della corona benedetta un'arma di conquista, una scala di ascensioni, una ghirlanda d'amore, una catena di meriti, una collana di grazie per sé e per gli altri.

Se vogliamo amare il Rosario nel modo più puro e più gradito alla Madonna, dobbiamo andare alla scuola dei Santi, che sono i figli prediletti della Madonna. Essi hanno amato tanto il Rosario ed essi ci assicurano, con S. Teresina, che «non c'è preghiera più gradita a Dio del Rosario».

Il Rosario e l'Eucaristia

Chi mai potrà farci dimenticare la figura di Padre Pio da Pietrelcina, che pregava per ore intere con il Rosario fra le mani presso l'altare del SS. Sacramento, contemplando la sua soave Madonna delle Grazie? Sono state folle e folle i pellegrini che l'hanno visto così, assorto e instancabile come un novello Mosè orante e supplicante per i fratelli d'esilio.

Il Rosario recitato davanti al SS. Sacramento fa guadagnare l'indulgenza plenaria. È questo un dono di grazia particolare di cui Gesù ha voluto impreziosire la regina delle preghiere mariane. Quando sia possibile, quindi, bisogna sempre preferire la recita davanti al SS. Sacramento: Gesù non può che essere infinitamente felice di sentir pregare la sua dolcissima Mamma.

Ma il S. Rosario fa ancora di più, ci insegna il Papa Paolo VI. Esso ci porta alla soglia della Liturgia, ossia alla porta della più grande preghiera della Chiesa che è la celebrazione dell'Eucaristia. Il Rosario è la migliore preghiera di preparamento e di ringraziamento alla S. Messa, alla Comunione, alla Benedizione Eucaristica.

Il servo di Dio Giunio Tinarelli, vittima volontaria della sofferenza, sul suo letto di dolori voleva sempre accanto a sé il messalino e la corona del Rosario, e nelle ore di maggior travaglio li stringeva fra le sue mani. Messale e corona, Tabernacolo e corona, Altare e corona: sembra di ripetere sempre Gesù e Maria, inseparati e inseparabili.

Il P. Anselmo Treves e P. Pio da Pietrelcina, che celebravano alle quattro del mattino, si preparavano alla S. Messa con lunghi Rosari. P. Pio da Pietrelcina iniziava il preparamento alla celebrazione della Messa alzandosi all'una di notte, recitando l'Ufficio Divino e molte corone del Rosario, più di venti; fino alle quattro meno dieci egli si faceva preparare dalla Madonna, e qualche volta ha scritto che la Madonna stessa, con tenerezza materna senza misura, lo accompagnava all'altare.

Il Rosario è l'orazione più completa per disporsi alla S. Messa, perché, come spiega il Papa Paolo VI, se la Messa «rende presenti, sotto il velo dei segni ed operanti in modo arcano, i più grandi misteri della nostra redenzione», il Rosario, «con il pio affetto della contemplazione, rievoca quegli stessi misteri alla mente dell'orante e ne stimola la volontà perché da essi attinga norme di vita» (Marialis cultus, 48).

Si pensi, ad esempio, alla recita dei misteri dolorosi del Rosario prima della S. Messa. La contemplazione della Passione e Morte di Gesù è la preparazione ideale ad una partecipazione viva al Sacrificio del Calvario che si rinnova sull'altare fra le mani del Sacerdote.

Si pensi, ancora, alla recita dei misteri gaudiosi del Rosario dopo la S. Comunione: come la Madonna accolse e tenne Gesù nel suo grembo e lo adorò e lo amò come suo Dio, così la Comunione fa possedere nel proprio cuore e nel proprio corpo lo stesso Gesù da adorare con la stessa adorazione amorosa della Madonna.

Avevano perciò ragione S. Giuseppe da Copertino, S. Alfonso de' Liguori, P. Pio da Pietrelcina di fare il ringraziamento alla Messa e alla Comunione, recitando devotamente la corona del Rosario. La Madonna è la celeste tesoriera che fa guadagnare e accumulare ai figli grazie su grazie.

Promesse antiche e recenti

Il Beato Alano della Rupe, questo figlio di San Domenico al quale risale la struttura attuale del Santo Rosario, ci ha lasciate scritte le Promesse che egli ricevette dalla Madonna per i devoti del S. Rosario.

Sono Promesse di salvezza eterna, di grazie speciali, di sostegno e protezione nei pericoli, di progresso spirituale, di gloria particolare in Cielo.

Sta a noi, però, far valere queste Promesse della Madonna con la nostra filiale corrispondenza e gratitudine. Queste Promesse ci dimostrano ancor più quanto sia prezioso e quanto stia a cuore alla Madonna il Santo Rosario. Aveva ragione il Beato Bartolo Longo di affermare che il Rosario è «l'orazione più cara a Maria, la più favorita dai Santi, la più frequentata tra i popoli, la più illustrata da Dio con stupendi prodigi, avvalorata dalle più grandi promesse ch'abbia fatte la Beatissima Vergine».

Sembra indubitabile, infine, che oggi la Madonna vuole servirsi proprio del Rosario per salvarci e inondarci di grazie. Riflettiamo, infatti, che non a caso Maria SS. volle presentarsi a Fatima con il titolo speciale di «Madonna del Rosario». Si vede che al S. Rosario Ella ha legato le cose più importanti per la nostra epoca. Padre Pio da Pietrelcina, a chi gli chiedeva perché egli recitasse tanti Rosari ogni giorno, rispose: «Se la Vergine Santa l'ha sempre caldamente raccomandato dovunque è apparsa, non ti pare che ci debba essere un motivo speciale?». E Lucia di Fatima ci assicura che in questo mondo travagliato «se tutti recitassero il Rosario ogni giorno, la Madonna otterrebbe miracoli».

Abbiamo tutto da guadagnare, e da guadagnare molto, a stringerci attorno alla nostra cara Madre e Regina, legandoci a Lei con la corona benedetta. Cerchiamo di farlo. Sforziamoci di farlo ogni giorno, e non in un modo qualsiasi, ma alla maniera dei nostri unici e più cari modelli: i Santi. Chiediamo proprio a loro la grazia di comprendere il valore del Rosario, la bellezza del Rosario, la potenza del Rosario; chiediamo a loro la forza di recitarlo ogni giorno fedelmente, con cuore di figli.

IL SANTO ROSARIO CI SALVA

La corda di salvezza

Parrebbe incredibile, eppure il grande mistico e Dottore della Chiesa S. Alfonso M. de' Liguori faceva dipendere la salvezza eterna della sua anima dalla devozione al S. Rosario.

Nella sua tarda età, una sera, non ricordandosi se aveva recitato i Rosari di quel giorno, interpellò il fratello che lo accudiva. Questi credeva che i Rosari fossero stati recitati. Ma S. Alfonso insistette: «Credete, credete? Ma ne siete proprio sicuro?... Non sapete che da questa devozione dipende la mia salvezza?».

L'intuizione del valore salvifico del Rosario l'ebbe anche il genio di Michelangelo, che lo immortalò nella sua opera celeberrima, l'affresco della Cappella Sistina, in Vaticano, raffigurante la scena del Giudizio universale.

In quell'affresco, alla destra di Gesù, maestoso e terribile, tra le anime beate che salgono al Cielo trasfigurate di gloria, ci sono anime che vengono tirate in alto per mezzo di una corona del Rosario a cui stanno strettamente attaccate.

Un'altra immagine del Rosario come «corda» di salvezza, è quella che sognò una volta S. Giovanni Bosco.

Un grosso serpente velenoso sta per avventarsi, ma vien preso al collo dal cappio di una robusta corda. La stretta del cappio fa morire il serpente; poi la corda viene riposta in un cassetto. Quando si riapre il cassetto, si trova quella corda disposta in modo da formare le due parole Ave Maria.

S. Giovanni Bosco spiegò: il serpente raffigura il demonio, il cappio l'Ave Maria, la corda il Rosario che è una continuazione di Ave Maria, con cui si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell'inferno.

Anche il Papa Adriano VI affermò che «Il Rosario è il flagello dei demoni». Questa è la verità sempre attuale della parola onnipotente di Dio: «Essa ti schiaccerà il capo» (Gn 3,15). Con la corona del Rosario fra le mani non potremo che vincere contro le potenze demoniache, contro le passioni, contro i pericoli di ogni genere, contro tutte le tentazioni che ci assalgono in ogni tempo e luogo.

Salva la Fede e i costumi

Il S. Rosario è un mezzo di salvezza per l'anima e per il corpo. Ci salva nella lotta contro i nemici dell'anima, ci scampa dai pericoli della morte, ci aiuta a custodire intatta la Fede, ci sostiene nelle riprese spirituali o nella riforma della vita, come sostenne S. Domenico nella lotta per battere l'eresia degli Albigesi, che stava infestando la cristianità.

Anche S. Teresina ci assicura con la sua luminosa semplicità che la preghiera del S. Rosario «è come il fermento che può riformare la terra». È vero. È proprio così.

Infatti, si sono visti interi paesi e regioni rifiorire spiritualmente ad opera della devozione al Santo Rosario.

S. Carlo Borromeo, subito dopo il Concilio di Trento, iniziò la riforma della Diocesi milanese introducendo la recita pubblica del S. Rosario in ogni Parrocchia. E ne ebbe frutti consolantissimi di vita cristiana integra e fedele. (Se si fosse pensato a fare lo stesso, dopo il Concilio Vaticano II!).

Il Ven. Vincenzo M. Orsini, arcivescovo di Benevento, si servì anch'egli del Rosario per ridestare la fede e la pietà nel suo popolo. E non dovette che gioire dei risultati.

S. Vincenzo Pallotti attesta che il grande apostolato di S. Gaspare Del Bufalo fu così fecondo, perché egli si impegnò «a propagare e a tenere esercitata nei popoli la recita del Rosario, come un mezzo assai efficace per la mutazione dei costumi».

S. Giovanni Bosco, il più grande educatore della gioventù, considerava la recita del Rosario uno dei punti fondamentali del suo metodo educativo. Quella volta che il marchese Roberto d'Azeglio, in visita all'Oratorio, ammirato dell'opera di Don Bosco, ebbe solo da criticare la recita del Rosario che egli considerava una pratica inutile e noiosa, da abolire, sentì rispondersi da Don Bosco con fermezza e dolcezza: «Ebbene, io ci sto molto a tale pratica: e su questa potrei dire che è fondata la mia istituzione; e sarei disposto a lasciare piuttosto tante altre cose ben importanti, ma non questa...».

S. Giovanni Bosco fu certamente uno dei più fervidi sostenitori della potenza del Rosario per salvarsi dalle insidie del demonio, per far rifiorire la fede, per ottenere e custodire la purezza dei giovani, per difendersi dagli errori, per aiutare la S. Chiesa.

E non può essere diversamente. Il Rosario è «singolare presidio contro le eresie e contro i vizi», come era detto nell'Ufficio Divino del 7 ottobre, festa del S. Rosario. Dove esso entra, gli animi vengono attratti e salvati da questa «catena dolce che ci rannoda a Dio» (Bartolo Longo).

Salva i peccatori

Che cosa dire della salvezza che il S. Rosario opera ottenendo la conversione dei peccatori?

Basti dire che la Madonna a Lourdes e a Fatima ha chiesto soprattutto la conversione dei peccatori, raccomandando ripetutamente la preghiera del Rosario.

Tutti i Santi hanno sperimentato la potenza del Rosario in questo campo e ce la garantiscono senza riserve.

Nel Diario intimo di S. Massimiliano Maria Kolbe, apostolo mariano a noi contemporaneo, troviamo scritta questa breve frase a mo' di sentenza: «Quante corone, tante anime salve». Un Rosario, quindi, può valere la salvezza di un'anima! Non dovremmo tutti approfittarne per aiutare i fratelli traviati? per salvare gli infedeli e i lontani da Dio?

S. Luigi Grignion de Montfort ci assicura che mai un peccatore gli resistette quando si servì del Rosario. Per questo poté scrivere un prezioso libretto dal titolo: «Il segreto ammirabile del Santo Rosario per convertirsi e salvarsi».

S. Clemente Hofbauer fu un apostolo in certo senso specialista nell'ottenere conversioni per mezzo del Rosario. Aveva sempre fra le mani una piccola corona donatagli dal Papa Pio VII; perdutala casualmente, ne fu oltremodo afflitto. Gliela ritrovò una suora, ed egli con giubilo le disse: «Voi in tal modo mi avete aiutato nella conversione dei peccatori, giacché ogni qualvolta ho recitato il Rosario per un peccatore, ne ho ottenuto la conversione». Per questo non si stancava mai di raccomandare ai suoi penitenti di aiutarlo a convertire i peccatori e i traviati con la recita di molti Rosari. Assicurava che con i Rosari otteneva sempre le conversioni desiderate, anche se si trattava di peccatori lontani dai Sacramenti da trenta o quarant'anni. E diveniva raggiante il suo volto diafano quando poteva esclamare: «Il Signore mi ha donato un'altra anima, per mezzo del Rosario».

S. Ludovico Bertrando era chiamato l'«Apostolo delle Indie», e con il Santo Rosario operò molti miracoli guarendo infermi e risuscitando anche alcuni morti, ma soprattutto ottenne più di 10.000 conversioni.

Un altro straordinario apostolo, il S. Curato d'Ars, si serviva del S. Rosario per attirare anime e far piovere su di esse grazie senza numero di conversioni anche prodigiose.

Una volta fu invitato a predicare gli Esercizi Spirituali al popolo in una località nei pressi di Ars. Per prima cosa, egli chiese al Parroco se tra i fedeli ci fosse qualcuno disposto a pregare intensamente. Il Parroco gli indicò una povera mendicante, buona solo a dire Rosari. Il Santo Curato avvicinò subito la poveretta e la pregò di voler recitare continuamente Rosari per tutto il tempo delle prediche. La mendicante ubbidì. La Missione andò benissimo. Le conversioni si moltiplicavano, e il S. Curato attestava con gran giubilo: «Non è opera mia, ma della Madonna invocata dalla mendicante con i Rosari».

Ai nostri tempi, si sa che P. Pio da Pietrelcina non pregava che recitando Rosari di giorno e di notte. Ed era con quei Rosari che attirava a S. Giovanni Rotondo folle di anime bisognose di grazia e di lumi, che diventavano folle di convertiti.

Una conversione sul treno

Nella vita della Serva di Dio Armida Barelli, leggiamo l'episodio di una conversione ottenuta con il Rosario durante un viaggio in treno.

«Sul direttissimo Milano-Roma... con un libretto in mano legge e medita. Ad un certo punto tira fuori dalla borsetta la corona e sta per cominciare il Rosario, quando si accorge che dirimpetto siede una giovane donna pallidissima e triste. Prova subito una grande pietà e pensa di offrirle ciò che a lei dà sempre un grande sollievo.

- Signora, vuole dire il Rosario con me? - La sconosciuta, molto sorpresa, accetta. Alla fine della dolce preghiera ha il viso tutto sconvolto.

- Ho recitato questa corona per lei - dice la signorina Armida.

- Ne avevo bisogno - mormora la sconosciuta, e scoppia in pianto. - Sono fuggita dalla mia casa, da mio marito, vado a raggiungere a Roma un uomo. Se la mamma lo sapesse!

La mamma! La signorina afferra quel nome come un'ancora per attraccare la navicella in naufragio. Mentre il treno corre tra i colli toscani, la giovane donna confessa il suo dramma e il turbamento che l'ha assalita durante la silenziosa preghiera della sua compagna di viaggio, turbamento che si è accresciuto fino a scatenare una vera tempesta durante il lento sgranarsi delle Ave Maria. La signorina riesce a dire parole così persuasive da indurla a ritornare da sua madre. Anzi, interrompe il suo viaggio, scende a Firenze con la donna infedele, l'affida a una pensione di suore, poi scrive alla madre perché vada incontro alla pecorella smarrita».

Salva da guerre e castighi

Per ottenere la fine della prima guerra mondiale, la Madonna a Fatima raccomandò il S. Rosario. Per ottenere la pace e custodirla, raccomandò ugualmente il Rosario. Per salvare la cristianità dall'invasione dell'Islam, S. Pio V bandì la crociata del Rosario, affidando le sorti della lotta alla Madonna del Rosario: e ne ebbe la gloriosa vittoria a Lepanto.

Il Rosario ottiene la pace, salva la pace, fa cessare le guerre, porta alla vittoria. S. Giovanni Bosco assicura che dove si recita il Rosario ci saranno «giorni di pace e di tranquillità». E S. Teresina conferma che, per quanto grandi siano le colpe degli uomini, «finché il Rosario sarà recitato, Dio non potrà abbandonare il mondo, perché questa preghiera è potente sul suo cuore».

Il santo cardinale di Milano Ildefonso Schuster raccomandava di mobilitare tutta la cristianità nell'offrire particolarmente il mese del Rosario, ottobre, «come un assalto generale contro le falangi infernali» che turbano la pace, seminano rovine, provocano castighi sull'umanità.

Il B. Luigi Orione, quando venne a sapere che la Polonia era stata invasa dalle armate tedesche (1 settembre 1939), di fronte alla tragedia di quella nobile nazione, chiamò a raccolta i suoi figli, dicendo: «Opponiamo ai cannoni i Rosari e mettiamo le mani giunte al posto di quelle che impugnano le armi».

Una visione di P. Pio ci conferma che il Rosario è tra le più grandi armi di pace e di vittoria che tutti possiamo avere fra le mani.

P. Pio stesso raccontò di aver visto dalla finestra del coro una piazza piena di nemici che gridavano: «A morte! A morte!...». Rivoltosi alla Madonna per chiedere aiuto, Ella gli mise fra le mani la corona del Rosario da manovrare come arma. Allora egli si affacciò alla finestra con il Rosario fra le mani e vide tutti i nemici cadere a terra abbattuti.

È proprio vero che la Madonna ha dato un grande potere al Rosario. Per convertire i peccatori, per battere il comunismo, per ottenere la pace, Ella a Fatima ha chiesto il Rosario. Per allontanare i castighi sia temporali (le guerre) che eterni (l'inferno), ha chiesto ancora il Rosario. Come facciamo a non capirlo?

Libera dal Purgatorio

Ad una pia signora era morto il fratello. Afflitta da questa perdita, tanto più dolorosa perché il fratello era veramente un buon cristiano, la signora fece un sogno. Vide P. Pio da Pietrelcina che la consolò e le disse: «Recita 200 Rosari e tuo fratello passerà subito in Paradiso». Quando la signora si svegliò, ricordò il sogno, ma pensò che fosse solo un sogno, e basta. Tuttavia la mattina seguente partì e si recò da P. Pio. Appena incontrò P. Pio, senza più pensare al sogno, la signora in lacrime gli chiese dove si trovasse l'anima del fratello e che cosa fare per lui. P. Pio le rispose subito: «E non te l'ho detto stanotte?... Recita duecento Rosari, e tuo fratello passerà subito in Paradiso».

Il Rosario ha anche questo potere straordinario: affrettare la liberazione delle anime dal Purgatorio, recare loro grande sollievo e conforto.

Lo stesso P. Pio da Pietrelcina, un giorno, nel donare una corona a una figlia spirituale, disse con trepida voce: «Ti affido un tesoro: sappi tesoreggiare. Vuotiamo il Purgatorio».

Negli Atti del Processo di Beatificazione di San Giovanni Massias, domenicano, leggiamo che la Madonna gli apparve sul letto di morte e gli rivelò che per l'incessante recita del S. Rosario egli aveva liberato dal Purgatorio un milione e quattrocentomila anime. Il Papa Gregorio XVI ordinò di riferire nella Bolla di Beatificazione del santo frate quella cifra prodigiosa, a conforto di tutti i devoti del Rosario.

S. Teresa di Gesù ha lasciato scritto che una volta, iniziando a recitare il S. Rosario, fu rapita in estasi e vide il Purgatorio, che aveva la forma di un grande recinto, in cui le anime penavano tra le fiamme purificatrici. Alla prima Ave Maria che ella recitò, vide subito un getto d'acqua freschissima cadere sulle anime a refrigerarle; così alla seconda Ave Maria, così alla terza, alla quarta... Capì allora la Santa di quanto sollievo la recita del S. Rosario fosse alle anime purganti, e non avrebbe voluto interromperlo mai.

Per questo S. Alfonso de' Liguori raccomandava ripetutamente: «Se vogliamo aiutare le anime del Purgatorio, recitiamo per loro il Rosario che arreca grande sollievo».

Anche il Beato Annibale Maria Di Francia ci assicura: «Quando noi recitiamo la corona di Maria SS. per qualche anima purgante, quell'anima sente quasi smorzare le ardenti fiamme che la circondano e prova un refrigerio di Paradiso».

Fra le sue prediche, un giorno, San Domenico fece quella sui benefici del Rosario per le anime del Purgatorio. Ma uno dei presenti si mise a deriderlo, scettico e beffardo. Durante la notte, però, questo tale sognò una voragine di fuoco con le anime purganti ivi immerse, e vide la Madonna che, materna e compassionevole, tendeva a loro una catena d'oro per tirarle su da quella voragine: quella catena d'oro era appunto la corona del S. Rosario.

Uno straordinario apostolo del Rosario per le anime del Purgatorio fu S. Pompilio Pirrotti. Con i suoi Rosari, egli entrò in grande familiarità con le anime del Purgatorio, che gli mostravano la loro gratitudine per il conforto che ricevevano da questa preghiera. La familiarità arrivò al punto che quando il Santo recitava il Rosario «s'udivano le anime dei defunti rispondere la seconda parte dell'Ave Maria».

Che bella carità potremmo fare tutti alle anime purganti, recitando per loro molti Rosari!

ROSARI SENZA NUMERO

«Pregate senza interruzione»

Un giorno S. Alfonso de' Liguori, nella sua vecchiaia, cadde in un brutto letargo. Non parlava né sentiva più nulla. I confratelli, attorno, non sapevano come fare. Ad uno venne un'improvvisa ispirazione, si avvicinò al Santo, e gli disse «Monsignore, dobbiamo dire il Rosario». A quella parola Rosario, il Santo si scosse immediatamente, aprì gli occhi e incominciò subito: «Deus in adiutorium meum intende...». Quando si trattava di recitare Rosari, S. Alfonso era sempre pronto, instancabile. Specialmente negli anni della sua vecchiaia, stava sempre «col Rosario tra le mani dalla mattina alla sera».

I Santi son fatti così. Tendere sempre al massimo nel bene, non mettere mai limiti né lesinare gli sforzi e gli eroismi quando si tratta di compiere cose buone: è la caratteristica propria dei Santi. E ciò, soprattutto per una cosa buona e santa com'è la preghiera.

Pregare significa sostare e vivere in Cielo: «La nostra conversazione è nei cieli» (Fil 3,20). Pregare è fare quel che fanno i Santi del Paradiso, i quali a tu per tu con Dio e con Maria, si inebriano dell'incessante preghiera di adorazione, di lode, di ringraziamento.

Amare con passione la preghiera, quindi, cercare con sollecitudine ogni occasione di preghiera, essere instancabili nel pregare, è la cosa più naturale e normale per i Santi. Davvero essi amano le divine parole: «Bisogna pregare sempre» (Lc 18,1), «Pregate senza interruzione» (1 Ts 5,17), e come ci tengono a prenderle alla lettera! Pregare molto e bene, anzi, pregare moltissimo e benissimo, è la loro comune divisa.

Non ci meraviglieremo, quindi, se anche a proposito di Rosari, per i Santi non vale altra massima che quella delle anime totalitarie: recitarne senza numero. Si pensi, ad esempio, che S. Ignazio di Loyola portava sempre la corona del Rosario e la teneva con sé anche dormendo, di modo che, se si svegliava, era subito spinto a pregare la Madonna.

In ogni tempo

Non dovrebbe mai passare un giorno senza Rosario. Non si dovrebbe sciupare neppure un po' di tempo in ozio, senza trasformarlo in preghiera con il Rosario. Quante persone, invece, non dicono il Rosario, pur sciupando, forse, ore di tempo dinanzi al televisore, leggendo il giornale o un rotocalco, girando e parlando a vuoto!

Ci sono di quelli che dicono di non avere assolutamente tempo per il Rosario. È impossibile - dicono - trovare un quarto d'ora per recitare una corona. Bisogna crederci? Anche se si volesse credere, si potrebbe sempre dir loro quel che dicevano San Vincenzo de' Paoli e S. Giovanni Bosco: cercate di recitare la corona, distribuita lungo tutta la giornata, una posta al mattino appena alzati, una più tardi, un'altra prima di pranzo... Due minuti ogni tanto, per recitare una posta, non è davvero molto! Ma è necessario recitare la corona ogni giorno come impegno d'amore quotidiano alla Madonna.

S. Vincenzo de' Paoli arriva a consigliare di mettere da parte altre preghiere, pur di non lasciare il Rosario. E S. Alfonso de' Liguori metterebbe in pericolo anche... il pranzo, affermando che un Rosario vale molto più del pranzo.

Era bello vedere come Santa Maria Bertilla si industriava a recitare il Rosario tra una pausa e l'altra del lavoro, dello studio, della ricreazione.

Anche S. Roberto Bellarmino faceva le soste durante i suoi profondi studi, passeggiando lentamente mentre sgranava la corona.

Un santo papà di dieci figli, Giuseppe Tovini, non perdeva tempo quando viaggiava in corriera: recitava una corona dietro l'altra.

Bisogna sfruttare bene le pause forzate di tempo che capitano in un negozio, nella sala d'aspetto del medico, in attesa di un treno o di un autobus. Se sapessimo utilizzare questi scampoli di tempo, quante coroncine in più ogni giorno reciteremmo!

Il Beato Diego Oddi, umile fraticello questuante, camminava per le vie sempre con la corona in moto fra le sue dita nodose. Era molto attento a valorizzare ogni ritaglio di tempo per riempirlo di Rosario. Soprattutto alle fermate degli autobus, egli era contento delle attese per poter pregare in pace. Una volta capitò con l'Arciprete alla fermata di un autobus che ritardava. Fra Diego invitò subito l'Arciprete a recitare un Rosario. Ma l'Arciprete rispose che da un momento all'altro sarebbe arrivato l'autobus, quindi era inutile cominciare. Fra Diego, con dolcezza, lo esortò a cominciare lo stesso. Per contentarlo, l'Arciprete iniziò,... e l'autobus arrivò alla Salve Regina!

Quante volte non capita anche a noi di aspettare l'autobus che tarda? Perché perdere tempo? Il Rosario ci aiuta a guadagnare «tesori nel cielo» (Mt 6,20).

Cento Rosari al giorno

Ricordiamo in modo speciale il portentoso modello del secolo ventesimo, che Dio ha donato all'umanità: Padre Pio da Pietrelcina. Egli recitava, in media, oltre cento Rosari al giorno. La cosa parrebbe incredibile, se non l'avesse confidato egli stesso e se da tanti non si fosse visto il santo cappuccino pregare instancabilmente, per anni e anni, di giorno e di notte, con la corona del Rosario sempre in moto fra quelle sue mani piagate e sanguinanti.

Si può dire che egli pregasse con il Rosario l'intera giornata. E qualche volta disse che avrebbe voluto le giornate lunghe quarantott'ore, per poterne recitare il doppio!

Davvero la Madonna a Fatima non ha parlato invano per P. Pio. E si vede che egli doveva essere più che convinto delle parole di Lucia, la veggente di Fatima: «Da quando la Vergine SS. ha dato grande efficacia al S. Rosario, non c'è problema né materiale, né spirituale, nazionale o internazionale, che non si possa risolvere con il S. Rosario e con i nostri sacrifici». E ancora: «Lo scadimento del mondo è senza dubbio frutto della decadenza dello spirito di preghiera. È stato in previsione di questo disorientamento che la Madonna ha raccomandato con tanta insistenza la recita del Rosario... Il Rosario è l'arma più potente con cui possiamo difenderci in battaglia».

Padre Pio non ha certo tenuto quest'arma a riposo. Al contrario, l'ha adoperata giorno e notte, in ogni sorta di lotte contro il nemico. Quando era giovane sacerdote, a S. Giovanni Rotondo, e dormiva con i ragazzi del seminario, in un angolo del dormitorio, dietro una tendina, una notte, uno dei ragazzi sentì un brutto rumore di ferri che si contorcevano e di gemiti soffocati di P. Pio che supplicava «Madonna mia, aiutami!». Al mattino il ragazzo andò al letto di P. Pio e vide i ferri della tendina tutti contorti. Al pomeriggio, durante la ricreazione, i ragazzi chiesero con insistenza a P. Pio il perché di quei ferri contorti e dei gemiti notturni. P. Pio alla fine li accontentò, per insegnare loro la necessità della preghiera e la forza del Rosario contro il nemico. Cosa era successo? Uno dei ragazzi, assalito da tentazione impura, aveva invocato P. Pio, suo Padre Spirituale. Padre Pio si era messo subito in aiuto, recitando il Rosario. Il nemico, vistosi battuto, scaricò la sua rabbia su P. Pio, assalendolo furiosamente. La forza del Rosario!

I sacerdoti del Rosario

La bellezza soprannaturale e la straordinaria fecondità del Rosario spiegano perché tanti Santi, specialmente Sacerdoti, l'hanno amato tanto da meritarsi l'appellativo di «Prete del Rosario» o «Apostolo del Rosario».

Tra i molti, ad esempio, il grande apostolo degli educatori, S. Giovanni Battista de La Salle, veniva chiamato il «Prete del Rosario», per la insonne attività della corona fra le sue mani. Lo stesso si diceva di S. Francesco Bianchi, apostolo di Napoli, anch'egli dai contemporanei chiamato «Prete del Rosario».

Ugualmente, S. Luigi M. Grignion de Montfort, S. Pietro Canisio, S. Camillo de Lellis, S. Antonio M. Claret, furono definiti «Apostoli del Rosario». Dalla loro vita sappiamo quanto si prodigarono con l'esempio e con la parola per far amare da tutti il Rosario.

Ma anche tanti altri sacerdoti santi, come San Carlo Borromeo, S. Alfonso de' Liguori, S. Pompilio, S. Clemente Hofbauer, il S. Curato d'Ars, S. Antonio M. Gianelli..., fino a Charles de Foucauld, a S. Massimiliano M. Kolbe, a P. Anselmo M. Treves, a P. Pio, a Don Dolindo Ruotolo, fecero del Rosario la loro preghiera prediletta, sicuri di piacere a Maria nel modo a Lei più gradito, e di beneficare le anime nel modo più salutare e fecondo.

S. Luigi Grignion de Montfort diceva: «Un sacerdote che dice e predica il Rosario ottiene più frutto in un mese che altri in un anno». Così avveniva, difatti, proprio a lui, ardente «apostolo del Rosario».

Del Santo Curato d'Ars, apostolo del confessionale, si diceva che «le sue labbra erano in continuo movimento». Non perdeva un istante di tempo senza riempirlo di Rosario. Era la sua catena di grazie per sé e per le anime che confessava.

S. Camillo de Lellis incontrò un giorno un sacerdote e gli chiese se portava con sé la corona. Il sacerdote confessò che non l'aveva, e S. Camillo esclamò con manifesto dolore: «Un sacerdote senza il Rosario? Il Signore provveda alla vostra tutela».

Voglia Dio donarci molti «sacerdoti del Rosario», che passino fra noi seminando le Ave Maria come benedizioni, grazie, conforti, sorrisi della Madonna sulla povera umanità.

Corona dietro corona

Quel grande ed estroso apostolo di Roma, che fu S. Filippo Neri, portava al Rosario un affetto pari al suo straripante amore alla Madonna. Per le vie di Roma, in chiesa, in cella, lo si vedeva sempre con la corona del Rosario che scivolava corallo dietro corallo fra le dita. Se al Santo si chiedeva una pratica religiosa da fare, rispondeva senza indugi: «Recitate devotamente il Rosario e recitatelo spesso».

S. Alfonso Rodriguez, umile fratello converso, era legatissimo alla sua corona del Rosario; e tutta la sua devozione alla Madonna, sempre tenerissima, si esprimeva nella recita così assidua del Rosario, che «gli si formarono dei calli ai polpastrelli del pollice e dell'indice della mano destra».

S. Martino de Porres, il prodigioso Santo mulatto, ogni giorno recitava Rosari più che poteva. Il suo biografo ha potuto scrivere che l'umile Santo domenicano «quando non maneggiava la scopa o la lama del barbiere o i ferri del cerusico, le sue dita scorrevano di continuo lungo i grani del grosso Rosario che gli pendeva dalla cintura».

Del B. Placido Riccardi, monaco benedettino, è attestato che «la sua mano sgranava sempre la corona del Rosario e nelle sue labbra sbocciava sempre la più affettuosa e prediletta preghiera dell'Ave Maria».

L'Abate Domenico Chautard, contemplativo e apostolo, nutriva una passione senza pari per il Rosario «che recitava spessissimo e con fedeltà assoluta a qualsiasi ora, nonostante la stanchezza di una fatica estenuante. La corona in viaggio era la sua compagnia, e quando deponeva nel suo lavoro la penna riprendeva il Rosario...».

Don Silvio Gallotti, questo mirabile Sacerdote di Maria, si appassionò talmente al Rosario, che ottenne in premio di poterlo recitare ininterrottamente senza fatica. Scrisse egli stesso: «La Madonna mi fa grazia di dirla ormai senza interruzione questa bella preghiera, senza che mi abbia a stancare».

Lo stesso si poteva dire dei Servi di Dio Don Placido Baccher, P. Anselmo Treves, Don Dolindo Ruotolo, instancabili rosarianti.

I Rosari delle Sante

«Bernardetta non fa altro che pregare; non sa fare altro che scorrere i grani del Rosario...». Così la sorella Tonietta diceva dell'umile santa Bernardetta, la veggente di Lourdes, che ebbe il privilegio di recitare il Rosario sotto gli occhi dell'Immacolata che la seguiva sgranando anch'Ella la corona.

A Santa Bernardetta possiamo senz'altro affiancare l'incantevole Santa Maria Bertilla Boscardin, che amò appassionatamente il Rosario come suo compagno inseparabile nel lavoro quotidiano di infermiera, di cuoca, di guardarobiera.

Pensiamo anche a Santa Caterina Labouré, la prediletta dell'Immacolata, che ricevette il dono della «Medaglia Miracolosa» e che persino sul letto di morte raccomandò alle consorelle di recitare sempre il Rosario e di recitarlo bene.

Né possiamo dimenticare le belle figure di Sante ardenti e operose come Santa Teresa di Gesù, Santa Margherita M. Alacoque, la B. Anna Maria Taigi, madre di famiglia.

Ugualmente ricordiamo la Beata Gianna Molla, madre di famiglia, la quale si sosteneva con il Rosario quotidiano nel duro lavoro quale madre di famiglia e quale dottoressa pediatra.

Di Santa Maria Goretti la mamma attestò che ogni giorno, oltre il Rosario con tutta la famiglia, ne recitava qualche altro da sola, intuendo col cuore la preziosa ricchezza di questa preghiera alla Madonna.

Santa Teresina ha scritto alcune cose veramente deliziose sul S. Rosario; Santa Gemma Galgani recitava il Rosario anche in estasi, bagnando la corona con il sangue delle sue stimmate; la Beata Agostina Pierantoni passava candida e dolce con la corona nelle mani fra i suoi ammalati..., queste e tutte le altre Sante ci spingono con i loro esempi ad amare il S. Rosario, a considerarlo un gioiello carissimo al Cuore della Madonna.

Infine dovremmo ricordare anche gli esempi luminosi di amore al Rosario delle Serve di Dio a noi più vicine: Lucia Mangano, Santina Campana, Armida Barelli, Edvige Carboni, Alessandrina da Costa, e tante altre ancora. Senza dire, poi, dei tre pastorelli di Fatima, Giacinta, Francesco e Lucia: quanti Rosari non recitavano essi ogni giorno? E quanti non ne recita tuttora Lucia rinchiusa nel Carmelo di Maria?

ROSARI DOVUNQUE

Va bene dappertutto

Uno dei pregi più caratteristici e più utili del S. Rosario è quello di poter essere recitato dovunque. Tenere in mano una coroncina e sgranarla piamente, è cosa che può farsi in ogni luogo, per le strade o sul treno, nei momenti di attesa in una sala d'aspetto o alla fermata del pullman, durante la fila allo sportello delle poste o salendo le rampe di una scalinata, stando fermo a riposo o guidando la macchina...

Pensiamo a S. Antonio M. Claret, che da giovane, lavorando nel cotonificio, recitava con gli operai il Rosario, mentre manovrava le macchine. E anche durante le pause alle sedute del Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre tutti uscivano dall'aula conciliare per fare due passi o prendere un caffè, si vedeva Don Giacomo Alberione restare al suo posto, in ginocchio, a recitare Rosari.

Il S. Rosario può essere recitato da solo o in gruppo, con i grandi o con i piccoli, a voce alta o in silenzio. La recita del S. Rosario non esige nessun apparato di cerimonie o di riti, né cambia in nulla se fatta per i vivi o per i morti, al letto di un moribondo o presso la culla di un bimbo... Davvero il Rosario è una preghiera stupenda, la più semplice e universale.

È vero che il posto ideale per la recita del Rosario resta sempre la chiesa, in ginocchio accanto al Tabernacolo o presso l'altare di Maria SS., come faceva ogni giorno, per ore e ore, P. Pio da Pietrelcina. Ma quando ciò non sia possibile, in qualsiasi luogo l'anima può mettersi alla presenza di Maria, rivolgersi a Lei con la pia recita delle Ave Maria.

E anche in questo i Santi ci dimostrano con i loro esempi che il Rosario va bene dappertutto, non è condizionato da ambienti od orari, si colloca agevolmente in tutti i luoghi e a tutte le ore.

I Rosari per le strade

In particolare, possiamo dire che la recita del S. Rosario fatta silenziosamente mentre si cammina o si viaggia, è stata l'occupazione più solita fra i Santi.

Alcuni Santi lo dimostrarono anche esternamente passando di strada in strada con la corona sempre in moto fra le dita.

S. Giovanni Battista de La Salle camminava sempre con la corona in mano; non solo, ma fece persino obbligo a tutti i suoi figli di percorrere le vie delle città recitando di continuo il Rosario.

S. Luigi M. Grignion de Montfort ebbe il Rosario come compagno inseparabile dei suoi interminabili viaggi missionari, santificando con le Ave Maria le strade e le regioni della Francia.

S. Filippo Neri, S. Felice da Cantalice, S. Alfonso de' Liguori, S. Antonio M. Claret, e tanti altri, non facevano certamente mistero del loro camminare o viaggiare recitando Rosari senza numero.

Era bello vedere S. Leonardo da Porto Maurizio tornare la sera in Convento, dopo le fatiche apostoliche, recitando il Rosario tutto assorto e sereno. Lo stesso, era uno spettacolo edificante vedere il giovane S. Giovanni Berchmans con altri giovani confratelli recitare devotamente il Rosario per le vie della città.

S. Carlo da Sezze, andando e venendo dalla campagna, recitava sempre la corona. E il Servo di Dio P. Anselmo Treves, se incontrava qualcuno per via, era solito chiedere: «Ha fatto buona passeggiata?... Ha seminato molte Ave Maria per la strada?».

San Corrado da Parzhan, l'umile cappuccino della Baviera, radunava i ragazzi per le strade e recitava con essi il Rosario in pia processione che edificava tutto il paese.

Santa Giovanna d'Arco era molto facile scorgerla tutta assorta mentre cavalcava accanto al suo re. Fu lo stesso re a chiederle una volta che cosa stesse «sognando» mentre cavalcava così raccolta e silenziosa: «Gentil Sire, - rispose l'eroina - sto recitando il Rosario».

Ai nostri tempi, Santa Bertilla Boscardin a Vicenza, San Massimiliano M. Kolbe a Roma, Don Dolindo Ruotolo a Napoli, attraversavano le vie della città recitando Rosari.

S. Giuseppe Cafasso racconta che un giorno, al mattino molto presto, incontrò per le vie di Torino una vecchietta tutta raccolta. Il Santo si avvicinò e le disse: «Come mai, mia buona vecchietta, per la via a quest'ora?». «Passo a pulir le strade» - rispose la vecchietta. Stupito, il Santo chiese: «Che cosa vuol dire?». «Questa notte è stato carnevale, e si sono commessi tanti peccati. Perciò, io passo recitando il Rosario, per purificare le strade da tanti peccati». Bravissima vecchietta!

Che dire oggi delle nostre strade?... Corruzione, scandali, sconcezze sui muri, sulle persone, nei gesti, nelle parole (bestemmie, turpiloquio), nelle canzoni... Non sarebbe, oggi, tanto più necessario passare con la corona del Rosario in azione per purificare queste strade del mondo appestate dal sesso?

Prigioni, bunker, deserto

La recita del Rosario ha fatto risuonare di preghiera mariana gli ambienti più disparati e i luoghi più impensati. Dalla Radio Vaticana, che ci fece udire più volte il Rosario recitato dal Papa Pio XII, dalle prigioni, dai campi di concentramento, dagli ospedali..., alla Televisione che periodicamente fa vedere e udire il Rosario recitato dal Papa Giovanni Paolo II, si può dire che forse non c'è luogo da cui non sia venuto fuori, almeno qualche volta, il Rosario.

Il Beato Teofano Venard, martire del secolo scorso, perseguitato e messo in prigione, santificò la sua gabbia con l'umile corona del Rosario, che recitava con una tenerezza da commuovere chiunque lo osservasse. Lo stesso faceva S. Gaspare Del Bufalo, durante la prigionia con altri sacerdoti perseguitati.

San Massimiliano Maria Kolbe, offertosi a morire in sostituzione di un papà di famiglia nel campo di concentramento di Auschwitz, chiuso nel bunker della fame insieme a nove compagni, trasformò l'orrendo sotterraneo in una novella catacomba cristiana risonante della più sofferta preghiera a Maria. «Non sembra neanche più il bunker della fame, questo qui sotto - annotava uno degli operai del bunker. Par di scendere nella cripta d'una chiesa. Mai successo prima d'ora... Dalla cella dove erano sepolti quegli infelici si udivano ogni giorno le preghiere recitate ad alta voce, il Rosario e i canti religiosi, ai quali si associavano anche i condannati rinchiusi nelle celle vicine... Ogni volta che scendevo lì sotto, le ardenti preghiere e gli inni alla SS. Vergine si diffondevano per tutto il sotterraneo. Era il P. Massimiliano Kolbe a cominciare, e tutti gli altri rispondevano...».

Trasportiamoci ora nel deserto del Sahara, e vi troviamo Fratel Charles de Foucauld, il piccolo fratello di Gesù. Scopriamo subito che egli volle come Patrona del suo romitorio di Beni-Abbès la Madonna del Rosario, e tra i suoi appunti spirituali possiamo leggere questo proposito: «Dire ogni giorno il Santo Rosario intero e a voce alta con grande fedeltà e grande amore». Non è commovente pensare a quelle Ave Maria recitate nel silenzio a voce alta e risuonanti nel deserto di duna in duna?

Ospedali e Palazzi reali

San Giuseppe Moscati, grande clinico di Napoli, portava sempre la corona del Rosario in tasca. Quando era in sala medica, di fronte a casi difficili, metteva per qualche attimo la mano in tasca, stringeva la corona e chiedeva aiuto alla Madre Divina. E le sue diagnosi avevano spesso del portentoso, a volte del miracoloso.

S. Camillo de Lellis, il Fondatore dei Ministri degli infermi, fece risuonare di Ave Maria le corsie di tanti ospedali e ricoveri per sofferenti. Ogni giorno egli recitava il Rosario con i malati all'ospedale, e ai suoi figli raccomandava, con l'esempio e con la parola, che anche «negli uffici e impieghi più materiali di casa - in cucina, guardaroba, lavanderia - si doveva abitualmente pregare recitando la corona».

S. Giovanni di Dio e Santa Giovanna Antida Thouret, S. Vincenzo Pallotti e Santa Maria Bertilla, hanno svolto un'opera santa di conforto spirituale e di sostegno morale per tanti ammalati con la recita del S. Rosario che trasforma ogni letto dell'ammalato in un altare di preghiera e sacrificio vivente.

Spostiamoci ora sui monti, e pensiamo al giovane studente il Beato Piergiorgio Frassati, e al maestro universitario Beato Contardo Ferrini, ambedue appassionati alpinisti, ma ambedue ancor più appassionati amatori del Rosario, che non tralasciavano mai di recitare anche nei giorni di audaci ascensioni, ai rifugi alpini, negli alberghi o sui picchi dei monti...

Ci fu anche qualche palazzo reale in cui la recita del Rosario risuonò devota nelle grandi sale dei sovrani. La reggia in cui visse la venerabile Maria Cristina di Savoia è stata ricordata da molti per l'esempio singolare offerto dalla Venerabile, la quale, fin da fanciulla, si aggirava ogni pomeriggio per le stanze reali suonando un campanello per chiamare il personale di servizio alla recita del Rosario.

L'ultimo esempio, tanto più attuale, quanto più significativo e coraggioso, è quello del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, che durante un solenne discorso all'ONU, nel Palazzo delle Nazioni Unite, teneva il Rosario fra le mani. E nei Giardini Vaticani, durante il breve passeggio, è molto facile incontrare il Papa che sgrana piamente la corona del Rosario.

Abbiamo tutti da imparare a fare tesoro di questo gioiello del Rosario, fonte di ogni grazia.

Nelle famiglie

Che cosa dire del Rosario nelle famiglie? È uno dei capitoli più belli delle famiglie che hanno donato Santi alla Chiesa. Sono davvero in molti i Santi che appartenevano a famiglie devote del S. Rosario. Pensiamo a S. Gabriele dell'Addolorata, S. Giuseppe Cafasso, S. Gemma Galgani, S. Leonardo Murialdo, S. Maria Goretti, S. Maria Bertilla, B. Contardo Ferrini, S. Massimiliano M. Kolbe, P. Pio da Pietrelcina, e tanti altri.

È uno degli spettacoli più edificanti quello della famiglia riunita in preghiera per la recita del Rosario. Si ha la percezione esatta della piccola «Chiesa domestica», che ha il suo cuore in Maria e il suo altare nel Crocifisso.

Era commovente, ad esempio, la premura con cui la Beata Anna Maria Taigi, madre di sette figli, curava la recita quotidiana del Rosario nella sua famiglia, secondo la testimonianza degli stessi figli.

Quando la famiglia Boscardin si riuniva la sera per il S. Rosario, la piccola Maria Bertilla non cedeva a nessuno l'onore di intonarlo e di enunciare i misteri.

Il Servo di Dio Giuseppe Tovini, papà di dieci figli, la sera diceva il Rosario con tutta la famiglia, e «tutti vi dovevano essere presenti, anche i più piccini, perché - era una sua idea - pur non comprendendo il significato di quella preghiera le orecchie infantili si assuefacevano al ritmo della recitazione».

Ha ben ragione il Papa Paolo VI di scrivere che il Rosario «sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci preghiere in comune, che la famiglia cristiana è invitata a recitare», e ammonisce che se le famiglie «vogliono vivere in pienezza la vocazione e la spiritualità propria della famiglia cristiana, devono dispiegare ogni energia per eliminare tutto ciò che ostacola gli incontri in famiglia e le preghiere in comune» (Marialis cultus, 54).

Non ci dev'essere tempo per nessun'altra cosa, quando si tratta di recitare il Rosario nella famiglia, perché, dice il Papa Pio XII, «non vi è mezzo più sicuro della recita quotidiana del Rosario, per invocare la benedizione di Dio sopra la famiglia...».

Il Beato Bartolo Longo, considerando tutti i grandi benefici di grazia del Rosario nelle famiglie, istituì una Pia Unione Universale, promotrice della recita del Rosario nelle famiglie.

È incalcolabile, crediamo, la forza unificante del S. Rosario recitato insieme in una famiglia. Oggi, purtroppo, questa cara tradizione, una delle più belle e preziose delle nostre famiglie cattoliche, si sta sciaguratamente dissolvendo, e sono già milioni i Rosari che ogni giorno non si dicono più nelle case cristiane. Dove sta andando a finire il materno messaggio della Madonna di Fatima?... Il Rosario è stato eliminato dalla televisione. Che tristezza!

ROSARI CON AMORE

Un brillante in mano

Che cosa ci vuole per recitare bene il S. Rosario?

Buona volontà e amore.

Questo basta, e supplisce a qualsiasi altra dote. Dove c'è buona volontà e amore, il Rosario è ben detto, nonostante l'eventuale difetto di cultura o di dottrina, di fervore o di progresso spirituale.

Il B. Giordano di Sassonia un giorno sentì chiedersi da un povero analfabeta: «Sai dirmi, Padre, se il Padre nostro ha lo stesso valore sulle labbra di un sacerdote e sulle nostre, considerando che il sacerdote intende il valore delle parole che pronuncia, mentre noi comprendiamo molto poco?».

Il B. Giordano rispose: «E che? Forse un brillante non ha lo stesso valore, qualunque sia la mano che lo porta?».

Questa sapiente risposta del B. Giordano vale anche per il Rosario. Avvertiti o meno, la bellezza e il valore del Rosario rimangono intatti a lode di Maria SS. e a beneficio dell'anima che piamente lo recita. Il contadino illetterato o il dotto teologo, la mamma di famiglia o il sacerdote nulla vi aggiungono se non il loro impegno d'amore alla Madonna.

Purché ci siano buona volontà e amore, il Rosario resta sempre «l'orazione più cara a Maria» (Bartolo Longo). Non si richiedono né il trasporto sensibile né il gusto della recita. È necessario solo disporsi a recitarlo bene, come un atto di amore che non perde, ma aumenta di valore, se compiuto con sforzo e sacrificio.

«Ora parliamo con la Mamma buona»: così diceva il Servo di Dio P. Anselmo Treves ai presenti, prima di iniziare il Rosario. Così dobbiamo disporre la nostra anima alla recita del Rosario.

Impariamo dai Santi

S. Francesco di Sales raccomandava ai suoi numerosi figli spirituali di recitare il Rosario con grande affetto «in compagnia dell'Angelo Custode». S. Paolo della Croce recitava il Rosario con tanta devozione che sembrava parlasse con la Madonna; e raccomandava con trasporto a tutti: «Il Rosario si deve recitare con grande devozione perché si parla con la SS. Vergine».

Dell'angelico giovane S. Stanislao Kostka è stato scritto che quando recitava il Rosario «in ginocchio dinanzi alla Madre sua, commuoveva di meraviglia; con quel suo modo soave e pieno di fede con cui la invocava, si sarebbe detto che l'aveva realmente davanti a sé e la vedeva».

S. Vincenzo Pallotti voleva che il Rosario fosse recitato sempre con decoro, sia nelle chiese che nelle case, negli ospedali, per le strade. Una volta, un sacerdote recitava il Rosario troppo in fretta; il Santo si avvicinò e gli disse con grazia: «Ma se qualcuno avesse un po' d'appetito (spirituale), lei con la sua fretta gli impedirebbe di soddisfarlo».

Santa Caterina Labouré colpiva chi la osservava recitare il Rosario, per l'intenso sguardo d'amore con cui fissava l'immagine della Madonna e per l'accento pacato e dolce con cui pronunciava le parole dell'Ave Maria.

S. Antonio Maria Claret fin da ragazzo recitava il S. Rosario con trasporto vivissimo. Invogliava i suoi compagni di scuola, dirigeva lui la recita e «si avvicinava quanto più poteva alla balaustra dell'altare della Vergine, assumendo l'atteggiamento di un cherubino».

Quando Santa Bernardetta recitava il Rosario, i suoi «occhi neri, profondi e brillanti, diventavano celestiali. Contemplava la Vergine in spirito; sembrava ancora in estasi». Lo stesso, dell'angelica martire Santa Maria Goretti è stato scritto che recitava il Rosario «con volto assorto quasi in visione di cielo».

Anche S. Pio X recitava il Rosario «meditandone i misteri, assorto e come assente alle cose della terra, pronunciando le Ave con tale accento che qualcuno ebbe a pensare se egli non vedesse in spirito la Purissima che invocava con sì infuocato amore».

E chi non ricorda come recitava il Rosario alla Radio Vaticana il Papa Pio XII? Enunciava il mistero, qualche attimo di silenzio contemplativo, poi la recita scandita e amorosa del Padre nostro e dell'Ave Maria.

Infine, ricordiamo il Servo di Dio Giuseppe Tovini, avvocato, sociologo, scrittore, padre di dieci figli, che recitava ogni sera il Rosario con la famiglia, in modo veramente edificante. La figlia carmelitana ci attesta che «pregava con le ginocchia piegate, appoggiate al sedile della sedia, con le mani giunte sopra il petto, la testa leggermente bassa oppure rivolta con amore e gran fervore verso l'immagine della Madonna».

Ma, in definitiva, chi mai potrà dire con qual trasporto d'amore e con quanta partecipazione interiore i Santi recitavano il Rosario? Beati loro!

Sotto i bombardamenti

Quanto a noi, purtroppo, è vero che il Rosario finiamo col non amarlo, omettendolo anche senza rimpianto, solo perché non lo recitiamo bene.

Siamo distratti e dissipati da cento cose durante il giorno, e il tempo del Rosario non si salva da questa continua distrazione.

Spesso, poi, ci riduciamo a recitare il Rosario in fretta, all'ultimo momento, magari a letto, stanchi e assonnati... E poi ci lamentiamo che il Rosario non produce frutti e ci appare una preghiera sterile e monotona. Ma è inutile pretendere fiori dagli sterpi e frutti da piante inaridite.

La buona volontà e l'amore, invece, rendevano bene accetti alla Madonna anche i Rosari che S. Alfonso de' Liguori recitava a dorso di mulo attraverso le campagne, che Santa Francesca Saverio Cabrini recitava sui transatlantici solcando gli oceani, che S. Massimiliano M. Kolbe recitava di sera attraverso i dormitori mentre i suoi frati si mettevano a letto, che Santa Maria Bertilla recitava accanto agli ammalati nell'Ospedale sotto la furia dei bombardamenti, che il B. Orione recitava sui camion per i trasporti e per le fughe durante l'imperversare della guerra, che P. Pio da Pietrelcina recitava lungo i corridoi o scendendo lentamente le scale, pressato da ogni lato dai fedeli.

Saranno tanto buoni i nostri Rosari quanta buona volontà e amore ci avremo messo nel recitarli.

In mezzo al chiasso

La buona volontà e l'amore rendono fecondo il Rosario anche quando le condizioni esterne non facilitano in nulla il raccoglimento e il gusto della recita.

Si racconta di quel soldato in trincea, che scriveva una lettera alla mamma in mezzo al baccano infernale delle artiglierie in azione. Un commilitone gli disse:

«Ma come fai a scrivere con questo fracasso?... Chissà quanti strafalcioni ci scappano!...».

«Non fa niente, - rispose l'altro - gli strafalcioni se li corregge mamma. L'importante è che io le scriva».

«Hai ragione» - concluse il primo.

Proprio così. L'amore e la buona volontà bastano da soli a dare contenuto e valore al Rosario, che è come una lunga e affettuosa lettera alla Mamma del Cielo, magari non priva di strafalcioni, ma sempre a Lei accetta e cara.

Il Servo di Dio Mons. Pary, Vescovo di Algeri, recitava assiduamente la corona del Rosario tenendola di continuo fra le mani o al polso. Qualcuno un giorno gli chiese: «Monsignore, come fate a tenere sempre desta l'attenzione recitando tanti Rosari?». È una domanda molto pratica, questa. Monsignore rispose: «Se fra tante Ave Maria che recito ve ne fosse anche solo qualcuna di buona, non vi pare che sia tanto di guadagnato?».

Vecchio e ammalato, così San Paolo della Croce rispondeva a chi voleva convincerlo a non dir il Rosario perché non aveva più la voce: «Finché vivo lo voglio dire, e se non posso con la voce, lo dirò con il cuore».

«Come recitare con attenzione il Rosario?», fu chiesto una volta a P. Pio da Pietrelcina. E il Padre rispose: «L'attenzione dev'essere portata all'Ave, al saluto che rivolgi alla Vergine nel mistero che contempli. In tutti i misteri essa era presente, a tutti partecipò con l'amore e con il dolore». In tal modo potremo scoprire, volta a volta, i dolci gaudi, i tremendi dolori e le celesti glorie della Beatissima Vergine, ed Ella ci renderà partecipi di tutte le grazie contenute nei suoi gaudi, nei suoi dolori e nelle sue glorie.

Accogliere la Madonna

Recitare il S. Rosario è come accogliere la Madonna in noi, facendola entrare e dimorare nella nostra povera anima. Dovremmo essere tutti così puri e ardenti come l'apostolo vergine, prediletto di Gesù, S. Giovanni Evangelista, che «accolse Maria in casa sua» (Gv 19,27).

Pensiamo al candore del cuore e alla confidenza filiale con cui recitavano il Rosario Santa Maria Goretti e S. Domenico Savio, Santa Bernardetta e S. Pio X, S. Gabriele dell'Addolorata e Santa Gemma Galgani, S. Gerardo e Santa Maria Bertilla... Quale conforto non doveva essere per la Madonna ascoltare le loro voci ed entrare nei loro cuori così puri e ardenti!

E noi, invece? Non contentiamoci della solita mediocrità. Reagiamo. Impegniamoci. Mettiamo anche noi la mente pura, il cuore affettuoso e tanta confidenza filiale, quando recitiamo il Rosario.

Sforziamoci di imitare i Santi. Non valga per noi il lamento della Madonna a S. Caterina Labouré: «Non si recita bene il Rosario». Dalla vita di questa Santa sappiamo che da quando ella udì quel lamento della Vergine Santa, per tutta la vita se lo portò «come una spina nel cuore».

Ricordiamo anche noi quel lamento della Madre Divina. E se le vogliamo bene, dobbiamo offrirle Rosari che le siano graditi. Chi ama si sforza di fare piacere alla persona amata, e tanto ama quanto si sforza. Se la Madonna vedrà il nostro sforzo nel recitare bene il suo Rosario sarà felice del nostro amore per Lei. Facciamola felice.

O CORONA BENEDETTA

«Bacerò la corona...»

L'amore dei Santi alla corona del Rosario è pari alla stima che essi nutrivano per questa preghiera. Con venerazione essi portavano questo piccolo oggetto sacro, con devozione lo adoperavano, con premura lo custodivano. «Bacerò la corona ogni volta che la prenderò in mano»: è il proposito del giovanissimo Servo di Dio Fratel Sebastiano Aniceto; un proposito comune a tanti Santi.

In particolare, una caratteristica molto frequente nei Santi è quella di portare costantemente la corona del Rosario fra le mani o al collo o legata al polso. Basterebbe ricordare, ad esempio, i quadri di Santa Bernardetta, S. Giovanni Berchmans, Sant'Ignazio da Laconi, S. Antonio M. Claret, del B. Stefano Bellesini, del Beato Nunzio Sulpizio, e di molti altri.

I Santi non volevano separarsi mai da questa celeste ghirlanda, che era per loro di conforto e di aiuto. C'era chi non riusciva a predicare se non aveva la corona fra le mani. «Senza la corona - diceva Don Giacomo Alberione - non sono capace di fare neanche un'esortazione».

Il giovane modello, S. Giovanni Berchmans, imitando il suo Padre Fondatore, S. Ignazio di Loyola, amava portare la corona del Rosario al collo, e spesso lo si sentiva ripetere giulivo: «Non mi è più possibile sfuggire all'amore di Maria..., mi ha legato per il collo!». Come sapevano spiritualizzare ogni cosa i Santi!

S. Ignazio da Laconi, prima ancora di diventare il miracoloso frate cappuccino, portava già la corona del Rosario sempre fra le mani, tanto che la gente si sarebbe meravigliata se l'avesse visto senza corona.

S. Francesco di Sales portava sempre con sé la corona del Rosario e faceva in modo che tutti la vedessero per essere invogliati a pregare la Madonna.

Per la notte, Santa Bernardetta ci raccomanda questo... segreto: «Alla sera, quando andate a dormire, prendete la corona; addormentatevi recitandola; farete come quei bambini che si addormentano, chiamando con voce sempre più fioca: mamma... mamma...». Deliziosi questi Santi!

Ad alcuni giornalisti che l'intervistavano, la mamma di Santa Maria Goretti rivelò questi particolari edificanti sulla sua angelica figlia. «Marietta nacque in ottobre, nel mese dedicato alla Madonna del Rosario... L'avevo consacrata alla Madonna fin dai primissimi tempi della sua vita. Presto ella imparò a recitare il S. Rosario e lo portava sempre fra le mani o lo teneva attorcigliato al polso come fosse un gingillo, non lo lasciava mai... E con il Rosario al polso affrontò il martirio». Difatti, la corona del Rosario fu trovata spezzata sul corpo dell'angelica fanciulla, dopo la lotta per salvare la sua verginale purezza.

Portiamola sempre con noi la corona. Il demonio ha paura di quest'arma. La Serva di Dio Edvige Carboni subì più volte l'assalto del demonio che le rubava la corona e gliela spezzava. Ella si dispiaceva quando veniva a sapere di persone devote che non portavano la corona, in essa c'è una potenza misteriosa di grazia che lega a Dio, c'è una potenza misteriosa che respinge il nemico.

Donare il Rosario

Per invogliare anche gli altri a recitare il S. Rosario, i Santi hanno anche distribuito con generosità e con premura molte corone.

Quando si è compresa la preziosità di questa preghiera mariana, si cerca di farla valorizzare anche dagli altri, stimolando alla recita del Rosario con il dono gentile di una coroncina.

Quante corone non hanno distribuito quegli apostoli ardenti di Maria che furono S. Alfonso M. de' Liguori, S. Vincenzo Pallotti, S. Gaspare Del Bufalo, S. Antonio M. Claret, e via via, fino al Beato Bartolo Longo e P. Pio da Pietrelcina?...

Uno straordinario donatore di corone fu San Pompilio Pirrotti. Si diceva, addirittura, che egli lavorasse di notte a fare le corone, aiutato dalla Madonna, o che la Madonna gli moltiplicasse le corone in tasca... Certo è che ne distribuiva tante, da essere impossibile che avesse potuto farle tutte lui.

Il Santo Curato d'Ars, se usciva con le tasche piene di Rosari, tornava sempre con le tasche vuote; e l'ultimo gesto che riuscì a fare sul suo letto di morte fu quello di donare l'ultima corona del Rosario a una persona.

S. Carlo da Sezze, fraticello questuante, chiedeva egli stesso ai poveri se avevano la corona per la recita del Rosario; alla risposta negativa, dava loro subito una corona ciascuno.

S. Pasquale Baylon, già quando era pastorello, si industriava a fare lui stesso le corone del Rosario con le cordicelle, e le dava agli altri con la promessa che avrebbero recitato il Rosario.

Santa Maria Bertilla, umile e dolce infermiera, ad ogni nuovo ammalato che arrivava in ospedale donava subito una corona del Rosario, da tenere appesa a capo del letto.

Una volta P. Pio, dando la corona a un signore gli disse: «Portala sempre in tasca; nei momenti di bisogno, stringila in mano, e quando mandi a lavare il vestito, dimentica pure di togliere il portafogli, ma non dimenticare la corona!».

La corona è un tesoro, è un gioiello di Paradiso, che la Madonna portò dal cielo, quando apparve a Lourdes, per garantircene l'inestimabile valore.

Sul letto di morte

Si sa che i Santi hanno amato morire con la corona del Rosario fra le mani, chiedendo di continuare a tenerla ravvolta fra le mani anche dopo la morte.

Quando l'angelico giovane S. Stanislao Kostka si trovò sul letto di morte, fu impossibilitato a recitare il Rosario; teneva tuttavia stretta in mano la santa corona. Qualcuno dei presenti gli disse: «Ma se non puoi recitarla, lasciala pure»: «No no - rispose il Santo - non saprei farlo: è cosa della Madonna mia... e il solo stringerla mi consola». Morì così, dolcissimamente, e i confratelli gli avvolsero fra le mani il Rosario.

Il Beato Stefano Bellesini chiedeva espressamente alla Madonna di farlo morire nel giorno di una festa mariana, e con la mente lucida per recitare il Rosario. Fu esaudito. Morì il due febbraio, festa della Purificazione di Maria Vergine, e recitò il Rosario fino all'ultimo momento.

La Beata Anna Maria Taigi fino all'ultima sera prima di morire volle recitare il Rosario con la famiglia e nel benedire per l'ultima volta i figli, raccomandò loro di non lasciare in nessun giorno la recita in comune del Rosario.

Certo, deve essere consolante morire con il Rosario fra le mani, recitandolo per l'ultima volta. «Se ogni giorno - diceva il servo di Dio Columba Mamion - abbiamo ripetuto spesso alla Vergine: "Madre di Dio, prega per noi... adesso e nell'ora della nostra morte", quando sarà l'istante in cui l'adesso e l'ora della nostra morte saranno un solo e stesso momento, saremo sicuri che la Vergine non ci abbandonerà». Ce lo assicura anche il B. Bartolo Longo che nella supplica alla Madonna di Pompei scrisse: «O Rosario benedetto di Maria... tu ci sarai conforto nell'ora di agonia, a te l'ultimo bacio della vita che si spegne».

Per questo fu serena e dolce la morte di S. Alfonso, di S. Antonio M. Claret, del S. Curato d'Ars, di Santa Maria Bertilla, del B. Nunzio Sulpizio, di S. Massimiliano M. Kolbe, del B. Orione. Don Giacomo Alberione - attesta uno dei suoi figli - confidò sempre nel Rosario, e fino all'ultimo, sul letto di morte «mostrava la corona del Rosario... col gesto di chi voleva indicarci, quasi come un testamento, la via da seguire».

P. Pio da Pietrelcina abbracciò sorella morte con la corona in mano, pronunciando i nomi soavissimi di Gesù e Maria. La sua salma esposta per quattro giorni alla venerazione di folle immense fu vista con la corona intrecciata fra le mani. Per tutta la vita egli aveva nutrito «un culto singolare alla corona del Rosario che chiamava con santo orgoglio l'arma sua. La portava sempre avvolta nella mano o al braccio... Altre corone teneva sempre sotto il guanciale o sul comodino presso il letto». Poco prima della morte, a chi gli chiese che cosa lasciasse in eredità ai suoi figli, egli rispose subito: «il Rosario». Non poteva lasciare di meglio.

Forza dei martiri

Chi può ignorare quanta forza abbia donato a molti martiri il Rosario di Maria? Ecco un episodio tratto dagli atti del martirio delle undici Suore Orsoline di Valenciennes, canonizzate nel maggio 1920.

Le undici vergini consacrate furono condannate a morte, ed esse si prepararono al loro supremo atto di amore con la preghiera più intensa, per presentarsi intrepide e liete al patibolo.

Condotte dinanzi ai carnefici, vennero spogliate dell'abito religioso e lasciate con una sola veste indosso. Tutte avevano fra le mani la corona del Rosario, e i carnefici volevano strappargliele. Ma esse supplicarono di non privarle di quel caro oggetto. I carnefici non potevano capire a che cosa mai potesse servire il Rosario sul patibolo. Anche il giudice rise, ma ordinò di legare loro le mani, ponendo i Rosari sul loro capo..., quasi a incoronarle in anticipo.

Esultarono le sante vergini e attraversarono così la città, cantando le litanie della Madonna. Sul patibolo, vollero baciare le mani dei carnefici, e la folla commossa vide quale ansia mostravano di essere tutte le prime a morire per Gesù. Le loro anime volavano al Cielo, mentre le teste cadevano incoronate del Rosario di Maria.

Questo episodio richiama alla memoria quella che Mons. Fulton Sheen considera come l'origine remotissima del S. Rosario, rivestita di vaghezza e poesia: «Ai tempi dei primi martiri..., quando le giovani vergini camminavano sulla sabbia del Colosseo incontro alla morte, si vestivano con begli abiti ed ornavano la loro fronte con corone di rose per andare gioiose incontro al Re dei re, per cui morivano; i cristiani, a notte fatta, raccoglievano le loro corone di rose e su queste pregavano recitando ad ogni rosa una preghiera».

Noi non dubitiamo che per tutti i devoti del S. Rosario la corona benedetta costituirà la corona di rose immarcescibili che la Madre Divina porrà loro in capo nella celeste Gerusalemme.

Distintivo del cattolico

Amiamo anche noi il Rosario, quindi. Amiamolo e salviamolo. Come hanno fatto i Santi. Amiamo il Rosario e salviamolo nella sua forma consacrata da secoli di amore a Maria e fissata per sempre dalla recita di S. Bernardetta a Lourdes sotto gli occhi dell'Immacolata, e dalle richieste pressanti della Madonna a Fatima.

Pensiamo a recitarlo il Rosario, a recitarlo ogni giorno, e più che possiamo, anziché perdere tempo a cercare di aggiornarlo, come stanno facendo alcuni, creando solo confusione nella pietà dei fedeli.

A P. Pio da Pietrelcina una volta fu detto: «Padre, oggi dicono che il Rosario ha fatto il suo tempo... In tante chiese non si recita più». Padre Pio rispose: «Satana mira sempre a distruggere questa preghiera, ma non ci riuscirà mai: è la preghiera di Colei che trionfa su tutto e su tutti. È Lei che ce l'ha insegnata, come Gesù ci ha insegnato il Pater noster».

Se non amiamo più recitare il Rosario, non è perché non sia aggiornato, ma perché siamo noi aggiornati o peggio aggiogati a quel «prurito di novità» dei falsi maestri che ci consentono di «assecondare le voglie della nostra carne» (2 Tm 4,3-4). In tal modo si finisce col non amare se non la fine del Rosario, come è già avvenuto sciaguratamente per molti. Guai a noi, però! La Madonna ha legato al Rosario il nostro futuro, i destini della nostra epoca.

Il Rosario, oggi, non è più tanto questione di devozione, quanto di salvezza. Già si può affermare che ai nostri giorni, come ai tempi della controriforma, il Rosario sta per diventare uno dei distintivi del vero credente.

Ricordiamo ciò che accadde a S. Ignazio di Loyola, quando si trovò a passare con i suoi primi nove compagni per una città della Svizzera, già devastata dall'eresia protestante. S. Ignazio e i suoi compagni portavano la corona del Rosario al collo, e i pochi cattolici svizzeri rimasti saldi nella fede, esultarono a incontrarli, riconoscendoli come cattolici da quella corona al collo, giacché il Rosario nella Svizzera era stato proibito dagli eretici prima che ogni altra cosa, condannato espressamente come segno distintivo del cattolico.

San Pietro Canisio, lottando contro i protestanti che stavano devastando la fede cattolica, salvò la devozione e il culto a Maria Santissima proprio per mezzo del Rosario.

Il Rosario sarà il segno della nostra appartenenza alla Chiesa e al cuore della Chiesa, che è l'Immacolata, Madre di Gesù e Madre nostra.

«Recitare sempre il Rosario»

I Santi ci attraggano con i loro esempi. La lotta ci stimoli. Se oggi c'è una crisi dolorosa anche per il Rosario, vuol dire che questo deve essere il momento del maggior impegno per difenderlo e diffonderlo.

C'è stato più di qualche Santo, come il B. Domenico della Madre di Dio, che arrivò a fare il «voto» di diffondere la devozione al Rosario. Impegniamoci anche noi. Non dimentichiamo mai che «il Rosario è devozione divina, la più divina dopo la Santa Messa» - come dice S. Carlo Borromeo. Non per nulla la Madonna a Fatima ha chiesto il Rosario con materna insistenza, per salvarci.

Qualche giorno prima della morte, a P. Pio fu chiesto di dire qualche buona parola. Padre Pio rispose con voce profonda e paterna: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario». Fu quasi il suo testamento, tutto mariano.

«Recitate sempre il Rosario»: è la raccomandazione di tutti i Santi, della Chiesa, di chi ama la Madonna. Questa raccomandazione camminerà per i secoli e si incarnerà nei Santi di Dio, i veri, i grandi innamorati della Madonna.

Seguiamo i Santi. Solo i Santi. Non perdiamo nulla a trascurare i non-Santi. Soltanto i Santi sono la «via sicurissima» che mena a Gesù e a Maria (Lumen gentium, 50).